di Nicola Lucarelli

Con l’approssimarsi delle elezioni politiche si affaccia, più che in passato, il fantasma dell’astensionismo, poiché il cittadino comune non sempre coglie la decisiva importanza del voto. Il problema primario consiste, dunque, nel richiamare gli elettori alle urne, specie in un momento come questo che registra il declino della Politica.

Si possono individuare tre tipi di astensione che connotano altrettante tipologie comportamentali dai significati diversi: la prima è di chi non si interessa o non ritiene che il voto valga la fatica di andarlo ad esprimere, perché il successo di un partito o dell’altro non può cambiare nulla della propria vita. Chi vota, in effetti, è spesso un maniacale estimatore di questo diritto-dovere, magari in grado di conoscere i contenuti dei programmi dei partiti e di coglierne eventualmente le differenze. C’è poi l’astensione di chi ritiene i partiti e le coalizioni tutti uguali o tutti da punire: anche questa, come la prima, è un’astensione “fisiologica”, perché connaturata al qualunquismo e coniugata con la rivincita degli esclusi e dei perdenti. C’è infine il terzo tipo di astensione, quella di chi è schierato da una parte ma non  condivide il percorso e le scelte della  propria formazione politica, sicché la punisce non esprimendo il voto: questa astensione è molto diversa dalle altre in quanto è frutto di una scelta in forza della quale chi si è disamorato di una parte non va a votare per l’altra.

Come è facile arguire, richiamandosi alle varie ipotesi prospettate, sembra del tutto giustificato l’atteggiamento astensionistico; facile, quindi, scrollarsi di dosso la responsabilità di una scelta (il voto) che invece va vissuta come affermazione di libertà, come momento fondante della nostra democrazia rappresentativa, come diritto-dovere da esercitare in quanto cittadini.

Il 24 ed il 25 Febbraio si vota per eleggere il nuovo Parlamento e per indicare chi vogliamo alla guida del Paese: è una scelta delicata in un momento particolarmente difficile caratterizzato da una crisi che sta mettendo in ginocchio tutto il nostro sistema economico e produttivo. Non si esce da questa recessione se ognuno di noi, votando, non crei i presupposti di una maggioranza forte e stabile, in grado di risolvere i problemi, senza dover ricorre continuamente a compromessi al ribasso, come accaduto nel recente passato. Non votando si rischia di dare il governo in mano ad una minoranza, come accaduto nei mesi scorsi in Sicilia.

Nonostante il bombardamento mediatico, avverto in giro tanta diffidenza verso questa politica. Comprensibile, ma è un sentimento da superare, se è il caso, turandosi il naso. E’ il momento di fare scelte ragionate e ragionevoli, facendo emergere dalla nostra coscienza l’ultimo spiraglio di speranza verso un futuro migliore.

Non cadiamo nella logica perversa del “tanto non cambia niente”! Domenica, aperte le urne, quando anche il nostro voto sarà determinante, potremo sentirci orgogliosi di avere contribuito all’affermazione dei nostri ideali, consapevoli che la nostra azione racchiude in sé l’esigenza di tante aspettative fin qui disattese, ma che in futuro potrebbero non andare deluse.

Non per fare retorica, ma ricordiamoci il 18 Aprile 1948, quando l’Italia distrutta dalla guerra, ridotta ad un cumulo di macerie, affamata ed economicamente disastrata rispose con una straordinaria partecipazione all’appello di eleggere il primo Parlamento Repubblicano, dando il via negli anni successivi alla ricostruzione e addirittura al boom economico.

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