di Antonio Panzini e Luigi Porcelli

Giovedì 4 Novembre si celebra la Giornata delle Forze Armate e la Festa dell’Unità Nazionale. A Mola l’Associazione Combattenti e Reduci e l’Amministrazione Comunale hanno organizzato un corteo che muoverà da  piazza XX Settembre alle ore 10 e si concluderà al Cimitero. La popolazione è invitata a partecipare. In caso di avversità atmosferiche, la celebrazione si svolgerà nella  nella Chiesa Matrice, alla medesima oraNel ricordo dei Caduti della Prima Guerra Mondiale, Vi proponiamo una pagina di storia, quella del Milite Ignoto.

Roma – L'Altare della Patria

L’Italia aveva vinto, ma molte delle nostre città erano state distrutte e
600.000 dei nostri uomini erano morti. Alla gioia della Nazione per il trionfo
si univa il dolore per le perdite subite. Era certamente dovere di tutti fare un ultimo atto d’amore e di gratitudine verso quei Caduti, per poter continuare a vivere con orgoglio e dignità. Fu un generale, Giulio Douhet, a proporre nel 1920 che l’Italia rendesse omaggio non a un Soldato Caduto, per quanto valoroso, la cui salma era stata identificata, ma a un Soldato che avesse dato la vita in un “ anonimato totale”, così come tale è il concetto stesso di Nazione.
L’anno seguente il Parlamento fece della poetica proposta di Douhet una
legge: il corpo del soldato caduto, la cui identità non potesse essere in alcun
modo stabilita, sarebbe stato sepolto nel Vittoriano a Roma. Una commissione, costituita da sei rappresentanti dei vari livelli gerarchici delle Forze Armate, fu incaricata di portarsi là dove erano stati i principali campi di battaglia sui nostri fronti bellici, a raccogliere 11 salme dei Caduti.  Fra queste doveva essere scelta una salma per ognuno dei 10 cimiteri esistenti nelle zone di Rovereto, Dolomiti, Altipiani, Montegrappa, Montebello, Basso Piave, Cadore, Gorizia, Basso Isonzo, Monte San Michele, e da Castagnevizza fino al mare, affinché le salme potessero avere la rappresentanza ideale anche dei Caduti dei reparti da sbarco della Marina.
Nei cimiteri le salme non identificate erano state seppellite in fosse
distinte soltanto da un numero.  I foglietti contrassegnati con tali numeri
venivano mescolati in un bossolo d’artiglieria, un membro della commissione ne estraeva uno,  il cui numero segnalava la tomba da scoprire. Le divise, gli indumenti e le stellette venivano esaminati per assicurarsi che le salme fossero dei Caduti e non di eventuali soldati nemici, ivi sepolti per errore. Ma se durante l’operazione di dissepoltura appariva un qualunque elemento che anche indirettamente potesse portare all’identificazione dei Caduti (ad esempio, una mostrina o una fiamma) le spoglie venivano nuovamente sotterrate. La commissione che aveva cominciato la sua opera a Passo dello Stelvio, la portò a termine il 20 ottobre del 1921 nella zona del Timavo.
Nella prima parte del viaggio verso Roma,  4 autocarri militari trasportarono le 11 bare scendendo da Trento a Schio, a Bassano, infine a Udine. Mentre il mesto corteo scendeva dalle Alpi, ovunque nacquero spontaneamente
manifestazioni di popolo che presero avvio come prende vita e moto l’acqua: a piccole bolle dapprima sulle alte valli, poi a ruscelli, a torrenti confluenti e infine a fiumi maestosi. A Gorizia le bare vennero poste su affusti di cannone e avvolte nel
tricolore. Mentre il corteo procedeva lento attraverso le strade della città,
centinaia e centinaia di madri e di vedove vi si accodavano, i loro volti
segnati dalla traccia insopprimibile del lutto e dell’amore. Da quel giorno,
dovunque le salme passavano, la commozione dilagò e straripò legando in un vincolo profondo le folle che si inginocchiavano al passaggio dei feretri.
Nel Veneto e nel Friuli, così duramente devastati durante la guerra, il
popolo si affollò a fare siepe, gettando petali di fiori sulle vesti nere delle
madri che seguivano le salme. Ad Aquileia le voci di mille fanciulli delle scuole elementari accorsero al corteo, intonando con fierezza la canzone del Piave.
Fra i ruderi romani, all’ombra dei cipressi, presso il cimitero che contorna  la Basilica di Santa Maria Assunta ad Aquileia, gli autocarri si fermarono. La prima bara, venne affidata a madri di Caduti che la trasportarono verso il tempio, seguita dalle bare portate a spalla da ex combattenti. L’interno della Basilica ardeva di ceri, traboccante di fiori a ghirlanda inviati dalle città e dai paesi friulani. Ai lati dell’ altare maggiore e sulla gradinata che conduce all’abside e all’altare pontificale erano stati eretti drappeggi in viola e crespo nero; sul primo vennero deposte 5 bare, sul secondo 6. Al centro, dinanzi all’altare se ne elevò un terzo, destinato alla salma prescelta. Su ogni feretro, la Bandiera Tricolore e un elmetto cinto di alloro. Un mazzo di 11 crisantemi, uno per ogni bara, fu posto davanti al catafalco centrale.
Furono inviati da una bambina di sei anni , Ines Meneguzzo, di Bassano, che
non ricordava il suo papà, partito per la guerra quando era troppo piccola.
Aveva inviato i fiori con un biglietto, scrivendo : “ Chissà che questi fiori
vadano al mio papà, che morì e non fu ritrovato.”
Mentre all’altare pontificale il vescovo di Trieste celebrava la Santa Messa,
l’ondata di religiosità si poteva quasi toccare. E cresceva fino a quando il
vescovo scese fra le bare ed elevò l’aspersorio a benedirle.
Infine l’ora della scelta. Fra le tante madri che negli anni di guerra furono segnate dal dolore della perdita di un figlio, la scelta finale cadde su Maria Bergamas, una popolana triestina.  Il corpo di suo figlio Antonio non fu mai ritrovato. (Da
ricordare che il figlio della Bergamas, aveva disertato dall’Esercito Austro-
ungarico per arruolarsi volontario nelle fila italiane e che cadde in combattimento, senza che il suo corpo fosse mai stato identificato). Quattro medaglie d’oro: il Generale Paolini, il Colonnello Marinetti, l’Onorevole Paolucci e il Tenente Baruzzi scortarono, reggendola, la signora Maria Bergamas, che si avvicinò tremante verso il centro della Cappella. Raggiunte le bare, si accasciò, nascondendo il volto fra le mani. Il silenzio era totale nell’attesa del gesto. Maria Bergamas si sollevò, si portò verso il lato destro e procedette, quasi ad interrogare le bare in silenzio. Dinanzi alla prima, si soffermò, la oltrepassò, ma improvvisamente ogni capacità e volontà di resistenza le venne meno e la donna cadde in ginocchio davanti alla seconda
bara, un braccio decideva in una muta invocazione. La mano si posò sul
coperchio, depose un velo nero e accennò un segno di croce.
Ecco :  “ Questo sarà il Soldato Ignoto “.
     Le bare dei 10 compagni ignoti sette giorni dopo furono sepolti nella terra
del cimitero di Aquileia presso la statua del Cristo, mentre il Milite Ignoto
fu trasportato a Roma. Aereoplani dell’Aviazione Militare precorsero l’arrivo del treno. Dovunque, ai passaggi a livello, alle stazioni, in aperta campagna gli italiani accorsero a salutare e a piangere. Ovunque il treno passasse, città e paesi arrestavano la vita di tutti i giorni; negozi e case chiudevano, uomini e donne accorrevano per toccare quel legno e quel metallo, mormorando il nome di colui che non era più tornato.

Era già notte quando il convoglio  giunse alla stazione di Venezia e si arrestò dinanzi a fasci di bandiere elevate sui binari, sotto torrenti di luce. Venne dato accesso ai veneziani che da ore attendevano ammassati sui ponti e sulle imbarcazioni. Per tutta la notte la gente sfilò e si inginocchiò commossa dinanzi al treno. Quando il mesto convoglio si mosse verso Bologna, innumerevoli barche si portarono in mare aperto e sparsero fiori e corone a ricordo dei marinai e degli aviatori che in mare si erano inabissati.
Il treno condotto da ferrovieri tutti decorati al valor militare, ricevette dovunque il saluto della gente.
A Roma il 1° Novembre, il Re era in attesa sotto la pensilina della stazione
Termini, circondato da tutti i principi di casa Savoia e dalle più alte
autorità dello Stato.  Quando il treno giunse e si fermò, nella stazione
calò un silenzio che non aveva mai conosciuto. Il raccoglimento e la commozione avevano pervaso tutti coloro che dal primo mattino si erano assiepati sotto le pensiline.

La bara del Milite Ignoto venne calato dal carro funebre e trasportata da 12 decorati di medaglia d’oro all’esterno della stazione, dove venne deposta su un affusto di cannone. 
Durante il breve tragitto fino alla Basilica di Santa Maria degli Angeli, la gente fece ressa ai bordi della   strada, alle finestre, sui balconi e fin sui tetti delle case.

La bara venne collocata all’interno della Basilica, sulla cui facciata era
scritto :  “Ignorato il nome folgora il suo spirito ovunque è l’Italia con voce di pianto e d’orgoglio dicono innumeri madri è mio figlio
Il popolo di Roma affluì per tre giorni a Santa Maria degli Angeli e la capitale  si animò come mai. Vennero deposte all’altare della Patria  1.500 corone giunte da ogni città d’Italia.
Arrivò il 4 Novembre.  Al Vittoriano (l’Altare della Patria), sotto la statua della dea Roma fuaperto il loculo che attendeva il Milite Ignoto. Si calcolò che quel giorno più di un milione di italiani si riversarono nelle strade di Roma. Il corteo avanzò lungo via Nazionale fra due ali di folla; vi erano rappresentati i soldati di tutte le armi e di tutti i servizi dell’Esercito. Su tre lati di Piazza Venezia, davanti al Monumento, erano schierati Carabinieri, Fanti, Marinai e 335 Bandiere dei Reggimenti sventolavano al vento sulla gradinata. Entrando in piazza  il corteo si fermò: si attesero le 10 precise, l’ora che tutta l’Italia aspettava. Infatti, alle 10 in punto, le campane vicine e poi quelle più lontane, prima quelle di tutta Roma e poi di tutta Italia, fecero sentire i rintocchi a salutare il Soldato che ascendeva i gradini dell’Altare della Patria.

Nello stesso istante, il rombo dei cannoni riecheggiavano da Monte Mario e dal Gianicolo, richiamando alla mente i ricordi degli anni della guerra. La bara giunse dinanzi al loculo spalancato.
Il Re baciò la  medaglia d’oro che venne poi fissata sul feretro con un martello d’oro dal Ministro della Guerra, e disse : “Degno figlio di una stirpe prode e di una millenaria civiltà resistette inflessibile nelle trincee più contese, prodigò il suo coraggio nelle più cruente battaglie e cadde combattendo senz’altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della Patria”.
Un soldato semplice pose sulla bara l’elmetto del fante. I rappresentanti
civili e militari delle Nazioni Straniere si misero sull’attenti, tutto il popolo si inginocchiò mentre la bara veniva calata nel sarcofago.Il Soldato Ignoto portò con sè  qualcosa di altri 600.000 che avevano condiviso la sua tragica sorte.  Una pietra tombale chiuse il sepolcro…per sempre.

Possa il Soldato riposare in pace. Ma possano soprattutto continuare a vivere in mezzo a noi i sentimenti che Egli ha suscitato.

Onore al Milite Ignoto e ai caduti in guerra.
Onore ai nostri Soldati che oggi, rifuggendo dai terribili richiami della guerra, sono impegnati ovunque nel mondo a portare la Pace, gli aiuti umanitari e la solidarietà a popolazioni più sfortunate di noi.

Ricordarsi di loro nel giorno che commemora il martirio di 600.000 italiani, morti per difendere la Patria, è un dovere di tutti gli Italiani.

Condividi su: