di Anna Consiglio

Una tragica vicenda di 60 anni fa: l’universitario Giovanni Tateo

Giovanni Tateo nel 1948

muore presso i binari della stazione. La sentenza popolare è: suicidio!  Ma i dubbi sono tanti. Oggi i fratelli riabilitano la sua memoria, forse volutamente bollata dall’infamia.

Vox Populi, vox dei”. Questa allocuzione latina, nel suo significato più comune e letterale, viene utilizzata per affermare che “una diceria assume i caratteri della verità quando una moltitudine è concorde nell’assumerla come tale”. Così, per secoli, in nome di “vox populi, vox Dei” sono stati elevati agli altari santi mai esistiti, tramandati falsi storici, condotte sanguinose guerre (al grido “Dio lo vuole!) e sono state diffuse, spacciandole per verità, dicerie malevoli su famiglie o su singole  persone.

Se oggetto di affermazione malevola è una diceria di piccolo conto, come spesso accade in luoghi di provincia, gli esiti possono non essere considerati concretamente dannosi; ma in casi in cui una maldicenza abbia per oggetto un’affermazione che mina profondamente l’immagine di un individuo, le conseguenze possono compromettere anche la vita stessa di altri che con esso  hanno legami di amicizia, affetto, parentela.

In Mola di Bari, dopo gli anni difficili dell’ultimo conflitto mondiale, si respirava aria di ripresa. Nelle campagne, attraverso l’esportazione di uva da tavola, con la marineria, con imbarchi presso compagnie di navigazione italiane ed estere e con l’apertura di cantieri, le attività produttive ricominciavano a produrre lavoro ed introiti. Anche gli emigranti avevano ripreso a percorrere il viale della Stazione – voluto da Monetti – consumando il triste rito dell’addio con l’accompagnamento, come  in processione, di parenti ed amici, in attesa poi del fischio di quel treno delle 23 per Napoli che li avrebbe portati via per lunghi tempi, e in molti casi  per sempre. Questa era in sintesi l’atmosfera degli anni intorno al 1950.

Nelle primissime ore di un mattino del giugno ’49 uno studente della Facoltà di Lettere dell’Università di Bari nato a Mola di Bari e di nome Giovanni,  notoriamente buono e mite nel carattere come brillante negli studi, percorreva anche lui come molti giovani pendolari il viale Matteotti (ultimo tratto di Corso Umberto I) che conduceva alla stazione ferroviaria: si recava in Università, assiduamente come sempre. Era persona schiva: negli anni di frequenza del  Liceo Classico “Domenico Morea” di Conversano aveva riscosso ammirazione e ricevuto encomi dai docenti e dall’illustre Preside Raffaele Chiantera (che fu allievo in Napoli del Torraca e dello Schipa), il quale  aveva in più occasioni pubblicamente dimostrato particolare palese stima ed ammirazione per lui, additato come esempio di dedizione agli studi, con particolare predilezione per le lettere. La” storia” scolastica di Giovanni Tateo è lì documentata.

Gli studenti, e non loro soltanto, erano soliti guadagnare l’accesso alle carrozze del treno “pendolare” evitando di percorrere la lunga curva del viale che immetteva all’ingresso in stazione,  superando invece la sbarra del passaggio a livello che immetteva direttamente alla strada ferrata e quindi alle carrozze. Giovanni non fu visto da alcuno fare altro che quello che tanti facevano, nessuno fu in grado di raccontare, descrivere o denunciare alcuna particolare dinamica dei fatti. Nessun verbale risulta sia stato redatto dalle Ferrovie dello Stato in merito ad incidente o altro accaduto in zona di sua competenza, cosa da formalizzare ove vi fosse stata una qualche verbalizzazione della dinamica dell’accaduto che avesse avuto una relazione con l’arrivo o passaggio del treno. Il corpo esanime di Giovanni era lì per terra. I frettolosi spettatori si dileguarono tutti. Uno studente, coetaneo di Giovanni, si recò a primissima mattina in via Matteotti 293 (abitazione della famiglia) a dare laconicamente notizia del fatto che Giovanni fosse passato a miglior vita: fu visto dai familiari dileguarsi  subito, nel momento in cui la madre, disperata per l’accaduto,  esternò tutta la sua incredulità pretendendo di sapere anche “come” ciò fosse accaduto.

Nessuna inchiesta risulta sia stata svolta da parte della magistratura o delle forze dell’ordine, o mai se ne ebbe notizia, neanche da parte dei parenti stretti: la voce del popolo sostituì tutto. Solo la malignità prese il sopravvento e qualcuno si peritò, forse anche per depistare chi avesse voluto ricercare le vere cause di quanto accaduto, di diffondere notizia di “tragica decisione al suicidio da parte di uno studente ginnasiale bocciato”. La notizia così diffusa era evidentemente falsa ed infondata sotto ogni aspetto in quanto non trattavasi di studente nè del ginnasio nè del liceo, ma di universitario del secondo anno della facoltà di Lettere con curriculum scolastico eccezionale, documentato anche da premi  e riconoscimenti di eccellenza.  Tale notizia, come suole accadere in occasione di una disgrazia del genere, venne infarcita anche da particolari fantasiosi frutto dell’invidia e della malignità. Così per voce popolare giunse tale notizia alle autorità ecclesiastiche, che negarono le esequie religiose: tanto bastò per consolidare ancor più l’infondata “voce popolare”. Ciò accadde nonostante tutta la famiglia di Giovanni, con Giovanni stesso, fosse costituita da cattolici credenti e praticanti  appartenenti alla stessa Parrocchia di San Domenico.

Basta tra l’altro leggere un endecasillabo terzinato dedicato a sua madre e composto proprio da Giovanni Tateo all’età di 14 anni  per aver idea di quanto fosse ricco di sentimenti sereni l’animo di quel giovane capace di esternare il suo amore verso la natura.

Il ritratto del fratello Fernando, dipinto da Giovanni

Geniale anche nell’arte della pittura, Giovanni seguiva le orme del nonno Francesco: la copia del dipinto a sua mano che accompagna questo scritto ritrae il suo fratello più piccolo di lui di dieci anni e rende grazia al grande amore sempre  dimostrato per la sua famiglia.

Ma la prova tangibile della inconsistenza della diceria popolare sul volontario impatto con un mezzo in movimento della dimensione di un treno è data fondamentalmente dalla inesistenza sul suo corpo di segni attribuibili ad un impatto del genere: tant’è che il corpo esanime di Giovanni fu anche detto fosse stato ritrovato a ridosso del muretto che costeggiava, a buona distanza, le rotaie. E ciò nel tratto, come s’è detto, frequentato da tutti coloro che percorrevano la distanza compresa fra il passaggio a livello e l’edificio della Stazione costeggiando la “strada ferrata”, proprio durante l’arrivo del treno nella stazione stessa.

Fu concessa al tempo, tra l’altro, la sola visione frettolosa della salma di Giovanni da parte del padre Saverio: sul corpo, intatto in ogni sua parte, era soltanto visibile una piccola ecchimosi a livello di una tempia. Fu tale particolare a creare smarrimento da parte del padre di Giovanni, che stentò ad accettare come credibile l’ipotesi forzata da diceria popolare in merito alla causa di morte. Non fu promossa dalle autorità nè indagine istruttoria nè autopsia e comunque non risulta che la famiglia o altri ne abbiano ricevuta  mai nota. 

L’inesistenza di motivo alcuno che potesse avvalorare una frettolosa diceria popolare, l’inesistenza di una sola deposizione fatta all’epoca in merito all’accaduto, nonostante l’inequivocabile presenza al tempo di tanti frettolosi e non qualificati “presenti”, il flebile ricordo d’oggi da parte di qualcuno che vide Giovanni in quel giorno da non lunga distanza, ma non nell’atto di provocar danno a se stesso (ne avrebbe dovuto dar notizia, o fornire soccorso)  ripropone l’allocuzione “vox poluli, vox Dei” come assolutamente infondata  e restituisce tutta la dignità di cattolico credente e praticante a Giovanni Tateo ed alle sue spoglie.

Il silenzio degli uomini ha parlato da sè e lascia il campo a tutt’altra verità, ben diversa da quella delle dicerie e delle malignità popolari.  Con una cerimonia sobria e semplice, i due fratelli hanno voluto ricordare il loro sfortunato congiunto: martedì 31 agosto, nel Cimitero di Mola di Bari, alla presenza dei familiari più stretti e di alcuni amici, Don Vincenzo Rizzi, Parroco di quella Comunità che all’epoca negò i funerali religiosi, ha benedetto la tomba dove riposa Giovanni Tateo accanto ai suoi genitori e con la lettura di alcuni significativi brani del Vangelo ha voluto dare ai familiari quella consolazione che solo la fede può dare.

Al pomeriggio dello stesso giorno, nella Chiesa del SS.Rosario è stata celebrata una Messa in suffragio del defunto, alla presenza dei fedeli e della famiglia. Attimi di commozione hanno pervaso la navata unica dell’ex convento quando Don Vincenzo nella preghiera dell’Offertorio ha recitato:

“Accogli nel  tuo regno il nostro fratello Giovanni e tutti i giusti che in pace con te hanno lasciato questo mondo: concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria….” 

Con questo rito si possono considerare sepolte tutte le false e tendenziose dicerie che tanto male hanno arrecato alla famiglia di Giovanni  per sessant’anni.

Con un volume dal titolo <La musica “nuova” di Niccolò van Westerhout”> (Ed.Cacucci, 2010), a lui dedicato, i due fratelli di Giovanni Tateo hanno voluto contribuire sia alla buona fama di un altrettanto sfortunato  concittadino, sia a dare, comunque, un segno di amore per la loro città natale. 

(dal mensile “Città Nostra” n. 94 – Gennaio 2011)

 

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