di Giovanni Miccolis

Parte I

Dopo i fatti del 1848 la repressione borbonica aumentò l’insofferenza diffusa tra gli intellettuali, professionisti e imprenditori, innescando una grossa carica di ribellione in tutto il Mezzogiorno e l’impresa di Garibaldi fu l’occasione per far nascere un’imminente rivolta.

 

Vitantonio De Cagno, noto sovversivo e liberale barese, era proprietario di alcuni trabaccoli che portavano olio ed altri prodotti pugliesi lungo la rotta Bari-Marsiglia-Palermo-Bari e seppe dai suoi marinai che nel mese di maggio 1860 due navi piemontesi, cariche di volontari con le camicie rosse guidati da Garibaldi, erano dirette in Sicilia.

Fogli clandestini provenienti da Potenza ed Altamura, città dove vi erano state ribellioni contro i gendarmi, riferivano anch’essi di una spedizione garibaldina in Sicilia. Notizie diffuse in gran segreto, perché ormai non potevano circolare libri, riviste, quotidiani e periodici non conformi al regime. Peraltro, sin dal 1853, il Ministro dell’Interno Salvatore Murena aveva imposto ai Comuni l’autorizzazione preventiva per l’acquisto di libri in conformità del Decreto del 6 novembre 1849 (“Decreto contenente delle prescrizioni circa l’introduzione, lo spaccio e la detenzione di libri, stampe ed oggetti figurati contrarii alla Religione, alla morale ed a’ Governi).

I proclami alla ribellione arrivavano comunque alle popolazioni meridionali. Garibaldi in un suo proclama scrisse agli “Abitanti del Napoletano”: “Tempo è d’imitare l’esempio magnanimo della Sicilia, sorgendo contro la più scellerata delle tirannidi. Alla razza spergiura e assassina, che sì lungamente v’ ha torturati c calpesti, sottentri alla fine il libero governo onde godono altri undici milioni d’Italiani, ed al turpe vessillo borbonico il glorioso vessillo dai tre colori, simbolo fortunato dell’indipendenza e dell’unità nazionale, senza le quali è impossibile libertà vera e durevole. I vostri fratelli del settentrione non ambiscono altro che l’abbraccio vostro al consorzio della famiglia italiana”.

I Mille a Quarto

Nel 1852, tra le persone allontanate dal Regno da parte dell’Intendente Ajossa, era Felice Garibaldi (1813-1855), fratello minore di Giuseppe, il quale era a Bari dal 1835 come dipendente di una ditta di esportazione di olio in Francia, la società “Avigdor” con sede sociale a Nizza e stabilimenti a Bari e Bitonto (A Bitonto nel 1828 il francese Pierre Ravanas aveva acquisito un vecchio frantoio per produrre olio con un nuovo metodo. All’esportazione di quell’olio fu interessato Federico Avigdor di Nizza che inviò in Puglia il suo dipendente Felice Garibaldi; quest’ultimo si mise anche in proprio rilevando un negozio a Bari nel 1851 dalla ditta “Fratelli Rocco”, sulla Strada della Marina [l’attuale Corso Cavour] che non aveva verso mare alcuna costruzione. Felice, un bel giovanotto alto e biondo, si era ammalato già prima dell’espulsione dal Regno delle Due Sicilie; andò a Nizza dove morì due anni dopo).   

La repressione borbonica non era riuscita ad annientare i gruppi di liberali che tramavano contro il regime. Si trattava, in genere, di intellettuali, avvocati, medici, professionisti, artigiani e religiosi che avevano mezzi per seguire comunque gli avvenimenti nazionali ed europei e influenzavano le masse sulle prospettive di un nuovo governo del paese, sul miglioramento delle condizioni di vita, sulla distribuzione di terre ai contadini. Per convincere contadini e braccianti alla ribellione si faceva leva sull’odio spontaneo verso il padrone, protetto dalle leggi del sovrano. Lo stesso Garibaldi riteneva che i contadini si potevano arruolare in massa se fosse stato soddisfatto il loro “diritto alla terra”.

Nel capoluogo pugliese, comunque, i rivoluzionari erano ben pochi. I ricchi commercianti erano, in genere, devoti al Re che aveva dimostrato tanta simpatia per la città e che aveva permesso loro di vivere in tranquillità ed agiatezza.

Il comandante territoriale della gendarmeria in Puglia era il generale Filippo Flores (17/6/1809-11/9/1867), originario siciliano, al comando di due squadroni di carabinieri, uno squadrone di gendarmi a cavallo ed un battaglione di gendarmi a piedi. Egli era inflessibile nell’esecuzione degli ordini sulla repressione politica in tutta la provincia.

La tranquillità in città dopo l’arrivo di Garibaldi a Messina era solo apparente. I cospiratori, che negli anni precedenti avevano animato le vendite carbonare, erano irrequieti, ansiosi di nuove notizie, desiderosi di passare all’azione.

Moisa Maldacea

Il più intraprendente rivoluzionario barese era Nicola Gabriele Tanzi che nel1856, a seguito del rapporto dell’Intendente Mandarini, venne espulso dallo “Squadrone della Guardia d’Onore ammesso alla presenza del Re” e sottoposto a frequenti  perquisizioni.

Verso la fine di maggio 1860 Tanzi si recò da De Cagno dicendogli: «ho ordinato delle stoffe pregiate a Nizza e vorrei sapere quando è previsto l’arrivo del trabaccolo di vostro fratello Beniamino». La richiesta suonò abbastanza strana all’armatore considerate le notizie già riferite dai suoi marinai. Dopo qualche giorno arrivò la barca in questione proveniente da Marsiglia carica di rotoli di stoffa, balle di cotone e zucchero, merce destinata ai negozianti di via Melo e di via Argiro. Tra le balle però vi erano volantini, giornali e comunicati che il“Comitato Centrale Insurrezionale” di Napoli aveva segretamente consegnato nel porto della capitale. I volantini erano a firma di Garibaldi il quale riferiva, tra l’altro: «al grido di sofferenza dei siciliani, che si sono sollevati in nome dell’Unità d’Italia, non ho esitato a mettermi alla testa della spedizione» e invitava la popolazione a «sostenere la lotta colla parola, coll’oro, coll’armi e soprattutto col braccio».

Il comitato napoletano aveva consegnato anche molti ritratti di Vittorio Emanuele II e Garibaldi che vennero sistemati in fusti di olio vuoti.

Gran parte del materiale fu consegnato a Tanzi. La polizia era in allarme, ma non riuscì a trovare il materiale pericoloso, sia nei magazzini dell’armatore che nell’abitazione del sovversivo.

Altre numerose notizie arrivavano dal “Comitato Centrale Pugliese” di Altamura sui progressi dei Mille in Sicilia. Luogo di smistamento delle missive segrete era la farmacia di Michele Brandonisio in via Melo.

I pochi rivoluzionari trovarono numerosi altri simpatizzanti desiderosi di avere nuove notizie sui clamorosi avvenimenti, in città e nei comuni della provincia.

A Gioia del Colle padre Eugenio Covelli, guardiano del Convento dei Cappuccini di Altamura, tenne una riunione il 17 luglio nel corso della quale si dichiarò decaduta la dinastia borbonica e si decise di passare all’azione non appena Garibaldi fosse sbarcato in continente.

Il 28 luglio a Putignano, presso il presidente del Comitato d’Azione barese, il medico Camillo Morea (1825-1891), seguì altra riunione nella quale si stabilì che occorreva trovare armi e che bisognava incitare le truppe regie a disertare. Il 15 agosto ad Altamura altra solenne riunione del Comitato Centrale nel corso della quale fu eletto presidente Luigi De Laurentiis, delegato alle più ardite iniziative. Il 18 agosto il segretario del Comitato Centrale Vincenzo Rogadeo (nato a Bitonto da antica famiglia ravellese) invitò Tanzi a partecipare alle loro attività ed il giorno dopo giunse notizia che Garibaldi era sbarcato in Calabria, a Melito di Porto Salvo.

Giacinto Albini

La Basilicataera in fermento e squadre di rivoltosi si diressero a Potenza: un drappello comandato da Francesco Garaguso, una colonna al comando di Davide Mennuni, un’altra preceduta dal sacerdote Nicola Mancuso, una squadra di Giambattista Rabilotta, volontari con Rocco de Petruccellis, Nicola Albini e Pietro Bonari.

Tutti si misero agli ordini del colonnello Camillo Boldoni ed il 21 s’insediò a Potenza il cosiddetto “Governo Provvisorio” con “pro-dittatori” Nicola Mignogna (1808-1870) e Giacinto Albini (1821-1884).

Con la formazione di autorità dichiaratamente illegittime e rivoluzionarie i funzionari regi, anche di alto livello, si trovarono nella impossibilità di svolgere il loro mandato, mancando la protezione delle forze armate regolari e le opportune disposizioni del governo centrale. E così Cataldo Nitti (1808-1898), arrivando a Potenza per svolgere il compito di Intendente, si sentì offrire un “incarico di prestigio” nel Governo Provvisorio rivoluzionario. Immediatamente Nitti rifiutò e, non ritenendo di poter svolgere i suoi compiti governativi, rimise il mandato nelle mani del sindaco Luigi Lavagna e si allontanò dalla città. Il Tribunale, nel giudicarlo, ritenne che la sua condotta fu esemplare, tale da evitare inutili violenze (una condotta, peraltro, molto apprezzata dai nuovi “padroni” tanto che, con la nascita del Regno d’Italia, fu nominato Governatore della Provincia di Bari, quindi presidente del Consiglio Provinciale di Terra d’Otranto, infine senatore del Regno).

Nicola Mignogna

Mignogna era in corrispondenza con Garibaldi. Il 31 luglio l’Eroe gli aveva scritto: “Caro Mignogna, io prima del 15 agosto spero di essere in Calabria. Ogni movimento rivoluzionario, operato nelle Province Napoletane, in questa quindicina, non solo sarà utilissimo, ma darà una tinta di lealtà in faccia alla Diplomazia, al mio passaggio sul Continente. Qualunque uffiziale dell’Esercito Napoletano, che si pronunzi pel movimento nazionale, sarà accolto fraternamente nelle nostre file, col proprio grado, e promosso, secondo il merito. Dite ai vostri prodi del continente Napoletano che, presto, saremo insieme a cementare la sospirata, da tanti secoli, Nazionalità Italiana”.

Nicola Mignogna, nativo di Taranto, era stato con i Mille di Garibaldi fino allo sbarco in Sicilia; ebbe poi dall’Eroe incarichi di servizio nel “continente”. Gli altri sette pugliesi che avevano fatto parte dei Mille erano: Filippo Minutilli (1813-1864) di Grumo, Moisè Maldacea (1822-1898) di Foggia, Guglielmo Gallo (1826-1896) di Molfetta, Giuseppe Fanelli (1827-1877) di Martina Franca, Vincenzo Carbonelli (1822-1901) di Taranto, Cesare Braico (1816-1887) di Brindisi e Tommaso Columbo (1844-?) di Bari (Francesco Raffaele Curzio, nato a Turi, era al momento della spedizione residente a Firenze e non fu considerato pugliese; con il Regno d’Italia fu eletto deputato nel collegio di Acquaviva).

(nei prossimi giorni la seconda parte)

 

Condividi su: