di Giovanni Miccolis

1860

Senza necessità di lotta armata (così come riconobbe l’ex ministro borbonico Liborio Romano)la Basilicata era ormai nelle mani del “Governo Pro-dittatoriale Lucano” che si insediò nel palazzo appartenente all’Intendente e cominciò ad emanare provvedimenti: fu affidato il comando della brigata al colonnello Boldoni; fu messa una giunta insurrezionale di tre cittadini in ogni comune; fu disposto che le autorità esistenti rimanevano al loro posto, ma in nome di Vittorio Emanuele, quale Re d’Italia, e di Giuseppe Garibaldi, dittatore delle Due Sicilie, in nome dei quali dovevano essere emanati gli atti; furono istituiti un Comitato di Sicurezza Pubblica ed una Commissione di Ingegneri per la fortificazione della città; fu istitutito un Comitato di Finanza per raccogliere fondi necessari all’impresa; fu formata una Giunta Sanitaria di Chirurghi e Farmacisti per soccorrere eventuali feriti.

La GuardiaNazionaledi Potenza, formata da cittadini volontari, era sotto il comando di Emilio Petruccelli, già reo di sedizione a Cosenza durante i fatti del 1848 (nato nel 1817, fu avvocato e rivoluzionario mazziniano; arrestato nel 1848 subì una lunga detenzione  e l’esilio in Inghilterra; morì rifiutando incarichi di prestigio nel 1884). Il Corpo era diviso in tre categorie: anziani da40 a60 anni in attività sedentarie nel comune; adulti da30 a40 anni per servizi di sicurezza in loco; giovani da18 a30 anni per servizi di sicurezza esterni. 

Nelle città vi era un fermento crescente, dalla capitale giungevano notizie discordanti, da Garibaldi incitamenti alla diserzione: “La tracotanza straniera signoreggia sulla terra italiana per le discordie italiane. Ma il giorno che i figli dei Sanniti e dei Marzi, stretti ai fratelli della Sicilia, daranno la mano agl’Italiani del settentrione, in quel giorno il popolo nostro, di cui siete la più bella parte, ripiglierà, come ne’ passati tempi, il suo posto tra le prime nazioni dell’Europa. Soldato italiano, io ambisco solo di vedervi schierati accanto a questi soldati di Varese e di San Martino, per combattere insieme i nemici dell’Italia!”.

L’esercito napoletano era allo sbando e molti soldati abbandonarono la divisa nascondendosi nei boschi. Le milizie cittadine si trovavano senza protezione dell’esercito, così come accadeva in Basilicata. I gendarmi potentini, aggrediti dai ribelli, tentarono la fuga, ma furono circondati dalle armate rivoluzionarie e preferirono arrendersi all’ufficiale Ulisse Caldani della brigata del colonnello Boldoni.

Le forze ribelli lucane ritenevano che in Terra di Bari era difficile attuare una rivoluzione: “Se diffìcile era la completa ed ardita rivoluzione nel barese, atteso la mitezza d’ animo di quegli abitanti, la posizione topografica piena ed aperta di quei luoghi, la permanenza della truppa regolare in diverse città, la gendarmeria moltiplicatasi in ciascuna località, il pronto attacco che il Borbone avrebbe potuto eseguire dalla parte di mare; ora diventava del tutto impossibile, essendosi pubblicato nel giorno 21 agosto dal Sindaco Beltrani di Trani, funzionante da sottointendente, un manifesto di accettare e rispettare la Costituzione borbonica, ordinandosi di prevenire e reprimere qualsiasi perturbamento, e sottoporre i perturbatori al maggior rigore delle leggi, ed alla immediata istruzione di processi” (Michele Lacava- Cronistoria documentata della rivoluzione in Basilicata del 1860, Napoli 1895). Ritennero così necessario inviare forze armate ad Altamura per tenere desto lo spirito rivoluzionario.

In realtà, in Terra di Bari si tramava in diversi comuni quali Gravina, Spinazzola, Conversano, Trani e Altamura, i cui cospiratori si riunivano nelle sedi comunali e nell’abitazione di Tanzi a Bari per raccogliere volontari e fondi, per incitare i soldati regi a passare tra i rivoltosi, per spingere il popolo alla ribellione generale.

A Mola – a seguito della legge del 5 luglio 1860 e di due decreti dittatoriali di Garibaldi – si era formato un battaglione della “Guardia Nazionale” forte di 670 civili, di cui 318 ordinari e 252 di riserva. Il “corpo” era a disposizione del Ministero dell’Interno per azioni di polizia.

Padre Eugenio da Gioia, membro del “Comitato Permanente” di Altamura, nella lettera del 25 agosto diretta al presidente del “Comitato d’Ordine Provinciale” De Laurentiis, scrisse: ”Vorrebbero che il movimento della Provincia fosse iniziato costà, stante la posizione topografica di cotesto luogo ed essi concorrere secondariamente coi pochi mezzi che meglio potranno. Forse domani ragioneranno diversamente, quando forse si sentirà che la truppa di linea parte per Foggia. Forse domani, messi in tale condizione, scandaglieranno vieppiù lo spirito dei gendarmi e vedranno se quello che ha promesso il maggiore Cristini si avvererà, cioè la promessa di mettersi coi gendarmi a disposizione della città…I Baresi nostri corrispondenti alla lettura del tuo carissimo foglio si sono sbigottiti, gridando non essere ancora tempo; perché scoperti al mare e perchè la via di Napoli non ancora interrotta in Avellino. Quindi per ora non si può far nulla qui; niente è sperabile a Bari, nemmeno la formazione del Comitato… i Baresi di per loro stessi sono insufficienti; anzi sono negativi, perchè troppo attaccati al vile interesse. Dimani sera, che accompagnerò i volontari di qui, ti dirò a lungo quello che si pensa” (Paolo Giancaspro, La insurrezione della Basilicata e del Barese nel 1860- Bari, 1890).
Una valutazione superficiale quella del prelato, che non teneva conto dell’attività di Tanzi, svolta in maniera frenetica e con risultati lusinghieri. Infatti, dopo qualche giorno, Leopoldo Pascale, alfiere a cavallo, e Giovanni Trombetta, aiutante di gendarmeria, consegnarono le armi ai ribelli e si misero a loro disposizione. Lo stesso fecero altri cinquanta gendarmi.

Tutte le armi raccolte furono inviate in Basilicata dove doveva scoppiare la rivoluzione a sostegno dell’azione di Garibaldi.

Verso la fine di agosto si organizzò un’imponente manifestazione di popolo a Bari con i cittadini che inneggiavano all’Italia unita, a Vittorio Emanuele ed a Garibaldi.

Il 28 del mese il generale Flores decise di passare all’azione con un’esemplare punizione, ma non fece in tempo ad attuarla. I rivoltosi accorsero in Piazza Mercantile con armi di fortuna: i muratori con piccozze, i marinai con barre di ferro, i contadini con forconi. Allo stesso tempo i negozianti stranieri – in gran parte francesi – misero sulle porte un’insegna con scritto “domicilio francese” per evitare danneggiamenti.

La folla numerosa degli insorti si riunì in Piazza Ferrarese nominando una delegazione guidata da Domenico Sagarriga, il quale convinse il generale Flores a desistere dalla sua azione. Intanto, il sindaco Giuseppe Capriati emanò la delibera di arruolamento perla GuardiaNazionale.

Il 30 agosto ad Altamura si proclamò il “Governo Provvisorio” retto dal triumvirato Luigi De Laurentiis, Teobaldo Sorgente e Vincenzo Rogadeo. Lo stesso giorno passò da Gravina e diretta a Potenza una colonna di volontari di mille uomini al comando del colonnello capo Camillo Boldoni (Barletta, 1815-1898).

Il tre settembre Flores ricevette l’ordine di recarsi a Capua con le sue milizie, ma lasciò a Bari una piccola guarnigione al comando del maggiore Cristini il quale, tuttavia, ritenendo di non poter controllare la città, decise di abbandonare con i suoi uomini la caserma di Santa Teresa dei Maschi (ex convento situato nel borgo antico) per recarsi a Napoli. Ma lungo la strada cominciarono le diserzioni ed il povero maggiore rimase ben presto da solo.    

Flores, nel suo viaggio di trasferimento, passò da Altamura dove trovò a fronteggiarlo i volontari del Governo Provvisorio. Gli Altamurani misero in fuga la gendarmeria borbonica e si meritarono il plauso del colonnello Camillo Boldoni, capo militare dell’insurrezione, il quale designò a rappresentarlo nella città murgiana il colonnello Tommaso Melodia (1802-1888). La spedizione di Flores terminò ad Avellino dove fu trattata la resa con il capitano Stefano Turr (10/8/1825-3/5/1908), un militare ungherese al servizio di Garibaldi.

Il 4 settembre Garibaldi era in Basilicata per incontrare i rivoltosi, i quali si misero ai suoi ordini e gli consegnarono seimila ducati a nome del popolo lucano. Il Generale dispose che la somma doveva essere destinata ai soldati borbonici sbandati ed accolse i volontari che lo seguirono fino alla battaglia del Volturno.

Il giorno successivo l’Eroe dei Due Mondi nominò Giacinto Albini “Pro-dittatore e Governatore della Provincia di Basilicata”.

Il 6 settembre una delegazione del comitato barese andò a Modugno per condurre a Bari il colonnello Romano partito da Altamura con 1.200 volontari e per rifornirlo di armi.

Intanto, il 7 settembre, giungeva in treno a Napoli Giuseppe Garibaldi, il quale fu accolto in stazione da una folla plaudente e dal ministro borbonico Liborio Romano, che lo condusse in carrozza verso il Palazzo Reale tra le ovazioni dei napoletani.

A Napoli era Filippo Flores, l’ex comandante della guarnigione di Bari, il quale offrì i suoi servigi al nuovo Re. La sua carriera militare però terminò proprio quando fu proclamata la nascita del nuovo regno, il 17 marzo 1861, con un improvviso congedo.

Nella capitale borbonica era giunto anche il colonnello Camillo Boldoni con i suoi “Cacciatori Lucani”, quell’esercito di volontari che tenne sotto controllo tuttala Basilicatain un’insurrezione senza spargimento di sangue, ma determinante nel passaggio al nuovo regno unitario.

Le notizie dell’arrivo dell’Eroe a Napoli giunsero anche a Bari dove, in vista di un nuovo assetto istituzionale, fu nominato Governatore della Terra di Bari Vincenzo Rogadeo (1834-1899) e sindaco Nicola De Gemmis (1818-1883). Pochi giorni prima, il 10 settembre, il vice sindaco Nicola Bux aveva deliberato la soppressione degli emblemi borbonici dagli uffici comunali.

In quei giorni, a Mola, Pietro Antonio Pesce subentrò come sindaco a Giambattista Alberotanza; si trattò soltanto di “avvicendamento” tra componenti delle famiglie notabili molesi fedeli all’ordine costituito.

La partenza da Napoli di Francesco II e l’arrivo di Garibaldi furono avvertiti dalla popolazione pugliese come l’avvenuto crollo del regime borbonico ed i contadini erano ansiosi della spartizione di terre, come era stato più volte annunciato.

A Ginosa una moltitudine di disperati chiese con violenza la distribuzione delle terre demaniali in possesso del marchese Nicola Onofrio Spinola. A Taranto molti contadini aggredirono i galantuomini per avere i loro poderi e atti di violenza si ebbero in diversi altri comuni del Salento, quali Manduria, Oria, Otranto, Gallipoli, Soleto e Parabita. In Ostuni fu proclamato un Governo Provvisorio. A Molfetta altri contadini assediarono i  palazzi dei ricchi borghesi. Tumulti rabbiosi si ebbero a Spinazzola, Barletta, Bisceglie, Giovinazzo, Terlizzi, Bitonto, Carbonara, Cassano e Noci.

Il 7 ottobre il neo sindaco di Bari Nicola De Gemmis, accompagnato da Vincenzo Sylos Labini, si recò a Napoli per porgere l’omaggio della Terra di Bari a Vittorio Emanuele II, riconosciuto nuovo sovrano.

Il 21 ottobre 1860 si svolsero i plebisciti in tutto il Regno delle Due Sicilie, atto preliminare per la nascita del nuovo Regno d’Italia. Bari aderì in massa con 5.430 sì ed un solo no. Lo stesso avvenne a Mola dove si ebbero 1.920 voti favorevoli senza alcun voto contrario.

Il Mezzogiorno era andato incontro all’Unità d’Italia con fiducia, con la speranza di un migliore avvenire. Ma tutte le aspettative furono ben presto deluse (“…le province meridionali, tenute da mille antiche e nuove cagioni separate e lontane dal resto d’Italia, dopo spento il primo ardore, sentirono la mano ferrea e fredda del passato che si appesantiva sopra di esse. Si riguardarono intorno e videro che la grande nazionalità si rimaneva tuttavia per esse alle sole condizioni di natura, ma che le famiglie, le proprietà, gl’interessi, le istituzioni non aveano ancora alcuna vera corrispondenza e solidarietà con quelle del resto d’Italia, e che tutti quelli stimoli li ricacciavano a loro malgrado verso un passato tristo, amaro, doloroso da cui le grandi novità fatte non ancora li liberavano” [Giovanni Manna- Le Province Meridionali del Regno d’Italia ­ -1862]).

E si parlò in seguito di “questione meridionale”.

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