di Nicola Bellantuono

Da qualche settimana nei pressi dell’area compresa tra il municipio e la chiesa del Sacro Cuore campeggia il cartello di inizio lavori del piano di recupero urbano (PRU), che porterà alla realizzazione di una piazza laddove oggi c’è un’ampia area sterrata. Che però racchiude una sorprendente peculiarità, sconosciuta ai più.

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A ben guardare, nei pressi del tracciato dell’antica strada vicinale Sant’Egidio, si trova un muro alto oltre tre metri e seminascosto dai cespugli. Si tratta del retaggio di quello che fu un agrumeto, simile ai molti che un tempo punteggiavano la campagna molese nelle immediate vicinanze dell’abitato e che oggi, per effetto dell’espansione edilizia degli ultimi decenni, sono pressoché scomparsi. Probabilmente, quell’agrumeto era asservito alla masseria Scannacinque che, da alcuni anni convertita in abitazione, sorge a pochi passi, affacciata su via Baracca.

Il muro cinge uno spazio quadrangolare, all’interno del quale la vegetazione ormai inselvatichita lascia intravvedere un antico abbeveratoio in pietra, quel che resta della struttura muraria che forse un tempo ospitava una noria, le bocche di due cisterne abbastanza profonde. Una delle due, forse un pozzo, è munita di una scala a pioli in ferro e presenta a metà della sua altezza degli ambienti laterali delimitati da muretti, indizio che forse lo scopo originario della cavità sotterranea non era solo quello di raccogliere o emungere l’acqua.

cappella02Più avanti, incuneata in un angolo dell’agrumeto resiste una piccola costruzione quadrangolare in tufo, ampia pochi metri quadrati: si tratta di una cappella. Un capitello angolare ne decora lo spigolo, un po’ più in altro rispetto all’architrave dell’unica porta d’accesso. A destra dell’entrata, ben visibile, è murata una pietra spaccata con un fregio rilievo, forse parte di una lettera M sormontata da una stella a sei punte, il tutto inscritto in un cerchio.

Varcata la soglia, si entra nell’unico piccolo ambiente, che si può abbracciare per intero con un solo colpo d’occhio. Il solaio è chiaramente più recente del resto della costruzione, essendo costituito da travette di cemento.

A ridosso della parete di fondo, rialzato rispetto al piano di calpestio, vi è un minuscolo altare, o forse solo un piedistallo, costituito da una mensa in pietra che poggia su un pilastrino, sul quale è posta una lapide in pietra grigia che riporta l’iscrizione ODOREM DAT SUAVITATIS («dà l’odore della gradevolezza»). Probabilmente si tratta di un’allusione ai profumi dell’agrumeto in cui la cappella è tuttora immersa.

cappella06Da due semipilastri con capitelli semplicemente decorati a rilevo parte un arco ad ogiva. L’intradosso dell’arco è dipinto con alcuni piccoli rosoni dai colori vivaci, due dei quali ancora chiaramente leggibili: quello centrale riporta l’effigie di una testa maschile coronata posta di profilo e dipinta in negativo, mentre più a sinistra ve ne è un altro che raffigura un paesaggio stilizzato. Sulla parete di fondo, alle spalle dell’altare, sono appena visibili altri lacerti di decorazione pittorica: probabilmente, il soggetto principale era un ritratto di sacro di grande formato (una Madonna con Bambino?), racchiuso in una cornice dal motivo classicheggiante con un sorprendente effetto trompe l’oeil.

Vito F. Labbate, nel suo Masserie e insediamenti nell’agro di Mola (Schena, Fasano, 1989), riporta la masseria Scannacinque senza tuttavia menzionare né l’agrumeto né la cappella.

La loro “scoperta” si deve a un intraprendente gruppo di studenti della scuola media Dante dei primi anni Duemila, che poi, con la guida delle professoresse Giovanna Ungaro, Rosa Maria Quaranta e Giovanna Pulito, giunse a pubblicare un volumetto, intitolato Mola dimenticata (edizioni Ciocia, Acquaviva delle Fonti, 2004).

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La descrizione della piccola cappella che si riporta in quest’articolo è tratta dal capitolo del volume ad essa dedicato. In seguito alla scoperta degli studenti, la scuola media Dante segnalò al Comune di Mola e alla Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici di Bari l’esistenza dell’agrumeto, della cappella e delle decorazioni.

Chiedere che sia alterato il corso di un’opera pubblica già cantierizzata come è oggi il PRU può apparire in effetti velleitario.

Dispiace tuttavia che né gli organi istituzionalmente preposti alla tutela si siano attivati, né i soggetti che hanno progettato il PRU abbiano manifestato sensibilità alle istanze di chi chiedeva tutela e valorizzazione della cappella nell’ambito dell’intervento urbanistico previsto.

Tuttavia, la magia di quel piccolo scrigno, rimasto pressoché segreto nonostante l’ubicazione tutt’altro che isolata, meriterebbe forse un’attenzione diversa dalla ruspa alla quale sembra essere destinata.

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