di Nicola Bellantuono

Cecilia Mangini, molese, celebre documentarista, ha compiuto 90 anni

Cecilia Mangini, nata a Mola il 31 luglio 1927, ha compiuto 90 anni.

La Redazione di “Città Nostra” le augura una ancora lunga e buona vita, con la consapevolezza che Cecilia Mangini rappresenta uno dei frutti migliori della nostra terra.

Uno di quei frutti preziosi che devono servirci a riaffermare la nostra identità e le nostre più solide radici.

“Somiglio tantissimo a mio padre, ma so benissimo di aver rappresentato per lui una delusione terribile: ero la primogenita e sono nata femmina, ma il padre meridionale vuole il primo figlio maschio! Veramente tutto quello che ho fatto nella vita è stato per cancellare questo senso di non essere bene accetta”.

 

Ed è così che “mi sono sentita una donna libera nel momento in cui ho deciso che dovevo vivere come un maschio. Comportarsi da uomo, allora, significava portare i pantaloni, non truccarsi, soprattutto non fare domande. Per trovare un marito occorreva tacere, assentire, non avere opinioni. E io discutevo di tutto, dei libri, dei giornali della politica. In quei momenti ho conquistato una grandissima libertà”.

Cecilia Mangini da giovane

Con le sue stesse parole, pronunciate in una recente intervista a Concita De Gregorio per La Repubblica, Cecilia Mangini presenta se stessa e le ragioni profonde che le hanno consentito di ritagliarsi uno spazio in una cerchia esclusivamente maschile e di diventare così una delle figure più significative della storia del cinema italiano, instancabile pioniera del cinema del reale.

Lunga e proficua è stata l’attività di autrice compiuta da Cecilia Mangini, con numerosi e importanti premi

È questo il motivo per cui, in occasione dei suoi novant’anni, festeggiati proprio ieri, la regista viene celebrata ovunque: da Corigliano d’Otranto, che le dedica la festa di chiusura della XIV edizione della rassegna Cinema del Reale, al Museo delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, che fino al 10 settembre le dedica una retrospettiva fotografica, che segue quelle di Berlino, Parigi e Friburgo. Eventi ovunque, salvo che a Mola, il posto in cui è nata il 31 luglio 1927.

Trasferitasi ad appena sei anni a Firenze, città della quale era originaria sua madre, poco più che adolescente Cecilia Mangini viene ammaliata dal neorealismo che, con Rossellini e De Sica su tutti, getta uno sguardo nuovo sulla società di un’Italia ancora provata dalla guerra.

Inizia quindi venticinquenne la non usuale attività di fotografa: non di posa, ma di strada, perché “nelle strade l’umanità vive, si dibatte, si diverte, soffre. Tutto questo è a disposizione di chiunque abbia una macchina con un obiettivo fotografico”.

Un’attività che la porterà ad avvicinarsi a importanti riviste cinefile come Cinema Nuovo, Cinema ‘60, L’eco del cinema, oltre che ad immortalare scatti su e giù per la Penisola, diversi dei quali saranno poi inclusi nella fondamentale Storia fotografica d’Italia della casa editrice Einaudi.

Cecilia Mangini ha collaborato con importanti autori e registi, tra cui Pier Paolo Pasolini

Ed è così che il produttore Fulvio Lucisano le propone di dedicarsi al cinema documentario.

In effetti, come Cecilia Mangini ha tenuto a dire in anni recenti, “io sono una documentarista. Chi fa documentari è assai più libero del regista di film di finzione, ed è per questo, per la mia indole libertaria con cui convivo fin da bambina, che ho voluto essere una documentarista. Il documentario è il modo più libero di fare cinema”.

Nel 1958 debutta con il cortometraggio a colori “Ignoti alla città“, ispirato al romanzo Ragazzi di vita con il quale Pier Paolo Pasolini, appena tre anni prima, aveva dipinto la quotidianità degli adolescenti di borgata: un sottoproletariato urbano a cavallo tra espedienti e sogno, calci al pallone e portafogli rubati, improvvisate lotte di cani e desiderio di scarpe nuove, nel cono d’ombra di un boom economico che stenta a includere tutti.

È l’inizio di una collaborazione con Pasolini che nel 1962 troverà poi seguito ne La canta delle marane. Non si tratta dell’unico scrittore con cui collabora: nel 1959 gira La Firenze di Pratolini, spaccato della vita quotidiana fiorentina con testi dello stesso Vasco Pratolini.

Negli stessi anni, in cui si lega professionalmente al regista Lino Del Frà che sposerà di lì a poco, cura la regia di del fondamentale StendalìSuonano ancora: la cinepresa stavolta non punta alle dinamiche di città cresciute troppo in fetta, ma all’immota Grecìa salentina e ai misteriosi canti funebri in dialetto grecanico che le prefiche ripetono piangendo e dimenandosi come in un rituale arcaico.

L’attività di documentarista di Cecilia Mangini ha avuto tra i suoi temi principali quelli della denuncia sociale, sulla condizione delle donne e delle popolazioni meridionali

Nel 1960 aveva intanto firmato, insieme al marito e a Lino Micciché, la regia del più politico All’armi siam fascisti!, con il quale ripercorre ascesa e declino del fascismo in Italia e le sue reviviscenze fino ai moti di Genova del 1960.

Nel volgere degli anni successivi affronta i temi emergenti di una società in rapida trasformazione materiale e immateriale: la religiosità sospesa tra riti antichi e nuovi luoghi (Divino Amore, 1961), la condizione femminile (Essere donne, 1965), i segni del consumismo incipiente, l’industrializzazione imposta in un Mezzogiorno ancora profondamente agricolo (Tommaso, 1965, e l’anno successivo Brindisi ‘65).

I premi non mancano: nel 1961 è coautrice della sceneggiatura di Fata Morgana, Leone d’Oro a Venezia; più avanti Antonio Gramsci – I giorni del carcere (1977), di cui firma soggetto e sceneggiatura insieme a Lino Del Frà, conquista il Pardo d’Oro al festival del cinema internazionale di Locarno.

Dopo aver firmato a quattro mani insieme al marito Comizi d’amore ’80 (1982), un rapporto sulla sessualità tra gli italiani, commissionato dalla RAI a vent’anni di distanza dall’indagine condotta da Pier Paolo Pasolini, Cecilia Mangini si concede una lunga pausa.

Più di recente, nel 2012, Cecilia Mangini ha ispirato la giovane autrice molese Mariangela Barbanente

La interrompe solo nel 2012 quando, insieme all’altra regista molese e sua allieva Mariangela Barbanente, firma In viaggio con Cecilia: una disincantata scorrazzata automobilistica nelle contraddizioni (e nelle devastazioni) di una Puglia nella quale i canti delle prefiche hanno lasciato il posto alle contraddizioni di uno sviluppo che non ha portato progresso.

Puglia come pretesto per raccontare un’Italia nella quale all’ingenuità picaresca dei ragazzi di vita di mezzo secolo fa si è sostituita l’apatia da movida di troppi giovani che dalla vita non si aspettano nulla perché, come dice uno degli intervistati, “non mi sono informato”. “Scusa ma perché? Chi te lo ha impedito?” risponde piccata la stessa regista.

Tutto parte dalle domande che ci si pone: sono quelle che aiutano a trovare un senso alla realtà che ci scorre davanti.

 

Condividi su: