VILLE A MARE: COSA ASPETTARSI DALLA CORTE EUROPEA

19 Aprile 2018

di Andrea G. Laterza

“Città Nostra” si è occupata più volte dello scottante tema delle ville a mare confiscate, sia su questo sito on line che sul mensile.

La questione dovrebbe essere oggetto della campagna elettorale già avviata, trattandosi di un problema urbanistico che va affrontato e risolto, non potendo più la nostra costa convivere con un complesso di ruderi in avanzato stato di degrado e che penalizzano le potenzialità turistiche e balneari del litorale molese.

Come è noto, con sentenza passata in giudicato della Cassazione penale Sez. III n. 17066 del 15 aprile 2013, è stata stabilita in via definitiva l’illegittimità urbanistica delle tre lottizzazioni che compongono la maglia situata tra Viale Europa Unita e il mare, nella fascia dei 300 metri dalla linea di costa, approvate dal Consiglio comunale di Mola nell’aprile 1992, con il voto favorevole di tutte le forze politiche (dall’estrema destra del MSI all’estrema sinistra del PCI-PDS, passando per la maggioranza DC – PSI) e, nello specifico, di numerosi esponenti di partito che ancora oggi calcano le scene della politica molese.

Ne discese l’ovvia illegittimità delle concessioni edilizie rilasciate dalla Giunta Maggi, grazie alle quali, un paio d’anni dopo, fu iniziata l’edificazione delle ville sequestrate nel febbraio 1996 dalla Procura della Repubblica di Bari.

Il processo che ne seguì vide, nel settembre 1999, la condanna in primo grado per abusivismo edilizio di tutti i proprietari dei suoli, dei costruttori e dei tecnici progettisti e direttori dei lavori, tra i quali diversi esponenti di partito con primarie responsabilità politiche o che ne assunsero addirittura successivamente alla sentenza, in ruoli perfino assessorili nel campo edilizio, nonostante il palese conflitto di interessi.

Tra la prima sentenza di condanna e il successivo grado d’appello intervenne la prescrizione per decorso del tempo (passarono ben 12 anni tra una sentenza e l’altra) del reato di abusivismo edilizio. Tuttavia, la sentenza di secondo grado, del gennaio 2011, confermò l’illegittimità urbanistica delle lottizzazioni e delle concessioni edilizie.

E la stessa cosa fece infine la sentenza di Cassazione dell’aprile 2013, con la riaffermazione della confisca delle costruzioni e dei suoli, e, quindi, con il passaggio della proprietà al Comune di Mola.

Una delle ville a mare confiscate a ridosso della battigia.

Dopo la sentenza della Cassazione, tenuto conto dell’inappellabilità della sentenza definitiva, e quindi dell’impossibilità di proseguire le costruzioni per abusivismo insanabile, i proprietari dei suoli avevano una sola possibilità: fare ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), con sede a Strasburgo, per richiedere che venisse dichiarata l’illegittimità della confisca dei suoli, così come era già avvenuto nel caso di Punta Perotti (o meglio detto “Sud Fondi”).

E così i proprietari dei suoli confiscati hanno fatto: con ricorso del 15-10-2013 (in realtà, i ricorsi sono tre: due fanno capo ciascuno a singole società e il terzo agli altri proprietari raggruppati: tutti rappresentanti dall’avv. Pasquale Medina del foro di Bari) hanno chiesto alla CEDU di condannare lo Stato italiano per illegittima confisca e, quindi, di rientrare nel titolo di proprietà dei suoli confiscati, sebbene in ogni caso impossibilitati a riprendere l’edificazione per la declaratoria di abusivismo edilizio accertato dalla Cassazione.

La questione è molto complessa sotto il profilo giuridico e proverò a riassumerla in maniera sintetica.

In sostanza, la legge e la giurisprudenza italiane stabiliscono che, a fronte di una lottizzazione abusiva e di altrettanto illecite costruzioni, accanto alla sentenza penale si dà luogo alla confisca dei suoli (che passano al patrimonio comunale).

Tale confisca, per la normativa italiana, ha natura amministrativa e non penale. L’obiettivo è quello di non lasciare comunque impunito l’illecito urbanistico. Va da sè che, accanto alla confisca, scatta anche l’obbligo della demolizione dei manufatti abusivi, che può essere in capo ai proprietari dei suoli confiscati ovvero al Comune. Tale obbligo di demolizione, in ogni caso, permane anche se la confisca viene, per qualche motivo, revocata.

Tuttavia, in merito alla natura della confisca, la CEDU ha stabilito in alcune sue sentenze (come nel caso Punta Perotti e nel successivo caso Varvara) che la confisca ha natura penale accessoria (e non amministrativa) e che quindi non può essere applicata nel caso di assoluzione degli imputati (caso Punta Perotti) o di prescrizione (caso Varvara) perchè contrasta con l’art. 7 della Convenzione europea (“nulla poena sine lege”).

Anche il caso molese sembra ricadere in questo orientamento di principio stabilito dalla CEDU.

Tuttavia, le cose potrebbero cambiare.

Vediamo perchè in base ad alcune interessanti considerazioni giuridiche già formulate in trattazioni specialistiche.

A seguito della sentenza Varvara (2013) la Corte di Cassazione, sez. III penale, con ordinanza del 30 aprile 2014 aveva ritenuto rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 44, co. 2, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, come interpretato dalla C.E.D.U. nella sentenza Varvara c. Italia (2013), nel senso che la confisca ivi prevista non possa applicarsi nel caso di declaratoria di prescrizione del reato urbanistico, anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi nel corso del giudizio.

In sostanza, la Cassazione – al fine di poter confermare o meno l’orientamento giurisprudenziale italiano alla luce della sentenza Varvara – rimetteva alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’istituto della confisca urbanistica, come previsto dalla legislazione italiana e dalla prassi giurisprudenziale nazionale.

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 49 del 2015 ha dichiarato inammissibile tale questione di legittimità costituzionale e, quindi, in sostanza, ha confermato la  legittimità della legge italiana che sancisce la natura amministrativa della confisca e che la applica anche in presenza di una prescrizione del reato.

Peraltro, è importante notare come, nell’ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale, la Cassazione osservava come, con la sentenza Varvara c. Italia, la C.E.D.U. avesse dato esclusiva preminenza al diritto di proprietà privata, a scapito di numerosi altri interessi costituzionalmente garantiti.

In ogni caso, poichè il caso molese non è un unicum ma presuppone l’applicazione estesa di un principio giuridico, con provvedimento del 25 marzo 2015, la Seconda Sezione della CEDU ha rimesso alla “Grande Chambre” (Grande Camera) la questione relativa alla compatibilità tra la normativa italiana, la quale prevede la confisca urbanistica anche nei casi di prescrizione del reato, e le disposizioni dell’art. 7 Convenzione europea dei diritti dell’Uomo.

Tale rimessione è avvenuta perchè la Seconda Sezione della CEDU interessata da un caso specifico ha ritenuto necessario, con provvedimento del 25 marzo 2015, un pronunciamento da parte dell’organo giurisdizionale in composizione plenaria.

Nello specifico, si trattava della confisca del complesso immobiliare di Golfo Aranci, in Sardegna, disposta dal giudice penale di merito a seguito della prescrizione del reato urbanistico, ai sensi dell’allora vigente legge n. 47 del 1985 (artt. 19 e 20), tenuto conto che i provvedimenti autorizzatori si erano comunque palesati contrari alla normativa vigente.

E’ abbastanza evidente che la decisione della “Gran Chambre” sul caso “Golfo Aranci” stabilirà la continuità della linea finora seguita dalla CEDU oppure la sua modifica, anche alla luce della pronuncia della Corte costituzionale del 2015.

E pertanto il caso molese, con ogni probabilità, subirà analoga sorte.

Peraltro, all’interno del giudizio Varvara era emerso un orientamento, sia pure minoritario, volto a sancire la legittimità della confisca quale sanzione al fine di non lasciare impuniti gli effetti del reato accertato, sia pure prescritto.

D’altra parte la pronuncia della Grande Chambre potrebbe essere influenzata dall’entrata in vigore della direttiva europea 2014/42/UE, in tema di “congelamento e confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato”, provvedimento con il quale l’Unione Europea ha senza dubbio inteso aderire ad una nozione il più possibile ampia e onnicomprensiva di “confisca”.

In sostanza, l’eventualità che la Grande Chambre modifichi l’orientamento già fissato nei casi Punta Perotti e Varvara è molto concreto.

Tale modifica potrebbe essere poi concretamente influenzata dal pronunciamento della nostra Corte costituzionale, che, con la già citata sentenza n. 49 del 2015, ha sostanzialmente “sminuito” la portata applicativa della sentenza Varvara c. Italia (2013), negando che essa rappresenti un orientamento vincolante della giurisprudenza europea, e pertanto lasciando supporre che anche la CEDU possa affermare la possibilità della confisca pur in presenza di un reato urbanistico prescritto.

 

In definitiva, i tempi per ottenere una sentenza nel caso molese si allungano (l’attuale status dei tre ricorsi è ancora di attesa della decisione giudiziaria) poichè sarà la “Grand Chambre” a doversi pronunciare sul caso Golfo Aranci e, quindi, la pronuncia (con la conferma o la modifica dell’attuale orientamento) sarà dirimente per sancire la conferma o meno della confisca dei suoli comminata alle ville a mare abusive ricadenti nel nostro territorio.

In ogni caso, è bene chiarire che – anche nel caso di pronuncia della CEDU a favore dei ricorrenti – l’illegittimità delle lottizzazioni resta e, quindi, la demolizione dei manufatti abusivi è un obbligo della sentenza della Cassazione del 2013 che va comunque adempiuto senza dar luogo ad alcuna forma risarcitoria del Comune nei confronti dei ricorrenti.

L’eventuale restituzione dei suoli, cioè, non sana l’abusivismo nè consente ai ricorrenti rimessi eventualmente nel titolo di proprietà di completare le costruzioni trattandosi di lottizzazioni dichiarate illegittime con sentenza della Corte di Cassazione e, pertanto, passata in giudicato.

Peraltro, le linee guida stabilite dalla CEDU in caso di ricorsi stabiliscono che i ricorrenti, nelle more del giudizio presso la giustizia europea, devono comunque adempiere alle sentenze definitive della magistratura nazionale.

Pertanto, il Comune di Mola (anche alla luce del parere pro veritate ad esso rilasciato nel 2016 dall’avv. Saverio Profeta) può senz’altro demolire le costruzioni abusive senza alcun timore di richieste di risarcimento danni per tale determinazione.

In tal senso, come abbiamo già spiegato in un precedente articolo su questo sito

FONDI STATALI PER LA DEMOLIZIONE DELLE OPERE ABUSIVE

con la nuova legge di Bilancio 2018, sono stati stanziati fondi a disposizione dei Comuni e uno strumento per monitorare il cemento illegale, due provvedimenti strettamente correlati.

La prima misura è di natura economica e potrebbe risolvere l’allarme lanciato da molti sindaci: lassenza di fondi per le demolizioni.
La legge di Bilancio prevede, infatti, l’istituzione, nello stato di previsione del ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di un fondo finalizzato all’erogazione di contributi ai comuni per l’integrazione delle risorse necessarie agli interventi di demolizione di opere abusive, con una “dotazione di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019”.
Pertanto, il Comune di Mola può già presentare domanda per l’ottenimento dei fondi finalizzati alla demolizione delle costruzioni abusive: può farlo il Commissario prefettizio oggi, e, a maggior ragione, il Sindaco che verrà eletto il 10 giugno o all’eventuale ballottaggio della successiva domenica 24.

Nell’eventualità di restituzione dei suoli ora confiscati, a seguito di sentenza della CEDU (ma, come si è detto, l’orientamento della giustizia europea starebbe cambiando), il ripristino della proprietà in capo ai privati rimane in ogni caso improduttivo di effetti edificatori, stante, come più volte si è detto, la sentenza della Corte di Cassazione dell’aprile 2013.

In tal caso, il Comune – successivamente alla sentenza della CEDU, se favorevole ai riicorrenti – potrebbe intavolare una trattativa bonaria per la cessione dei suoli ai prezzi di mercato stabiliti per quella maglia urbanistica, al fine di realizzare comunque attività di utilità sociale su quei terreni.

“Città Nostra” ha proposto, ad esempio, la realizzazione di un parco urbano per il tempo libero e in funzione ecologica dell’habitat costiero (con parcheggi perimetrali), e con spiaggia urbana attrezzata. E’ quindi il caso che il nuovo Sindaco appronti un progetto al fine di reperire opportuni finanziamenti pubblici tra le misure finalizzate alla riqualificazione costiera e ambientale, sicuramente disponibili a diversi livelli (regionale, statale, comunitario).

Una tale destinazione d’uso avrebbe il merito di recuperare a fini ambientali e di uso collettivo (in grado di generare lavoro e reddito per cooperative o società che utilizzino l’area e le attrezzature in convenzione con il Comune) un’area attualmente assolutamente degradata, frutto di abusivismo edilizio.

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2 Commenti in “VILLE A MARE: COSA ASPETTARSI DALLA CORTE EUROPEA”

  1. Marco Sciddurlo 19 Aprile 2018 alle 07:20 -

    Sarebbe interessante sapere qual è la politica che intendono attuare i candidati-sindaco: a) se a tutela e valorizzazione del nostro territorio, ma non con le solite chiacchiere, bensì con l’abbattimento dei fabbricati abusivi presenti nel nostro territorio e che stuprano la nostra Mola (e queste ville sono e rimangono abusive indipendentemente dall’esito del giudizio della Corte di Strasburgo -come chiarito nel parere pro veritate scritto dall’avv. Profeta su richiesta del Comune di Mola-); b) oppure continueranno ad adottare, di fatto, un “favor” nei confronti degli abusivismi che danneggiano il nostro territorio a scapito dell’interesse generale della comunità molese.

  2. A. Laterza 19 Aprile 2018 alle 08:27 -

    AVVISO AI LETTORI:

    Per quanti hanno già letto l’articolo, si informa che stamattina sono state effettuate modifiche di maggiore approfondimento al testo dell’articolo.

    Quindi, i lettori interessati possono, se vogliono, rileggerlo.

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