di Andrea G. Laterza

Antonio Tricase, candidato sindaco di “Futura”

Non è mai troppo tardi, avrebbe detto l’indimenticato maestro Manzi.

E, infatti, alla fine, tanto tuonò che piovve.

Incalzato da “Città Nostra”, nel corso della conferenza stampa di ieri sera, il candidato sindaco di “Futura”, l’ing. Antonio Tricase, ha dichiarato: “Siamo per l’abbattimento delle ville a mare confiscate”.

Una presa di posizione che fa finalmente chiarezza di troppi anni di silenzi e di ambiguità da parte di un habitat politico che, in maniera trasversale, tranne eccezioni, ha fatto dell’omertà su questa spinosa questione la sua cifra stilistica.

L’ing. Tricase nel rispondere al nostro giornale ha esordito: “Finalmente posso fare chiarezza su questa vicenda di fronte agli attacchi personali del direttore di Città Nostra”.

Sgombriamo però il campo da un equivoco: non ci sono mai stati attacchi personali all’ing. Tricase, ma l’evidenza di fatti inoppugnabili in presenza di una sua candidatura prima alla segreteria del PD e, quindi, a quella della massima carica istituzionale.

Pertanto, non potevamo non richiamare, per una persona che legittimamente aspirava e ancor oggi aspira a così alti incarichi, una vicenda di fondamentale importanza del passato politico, che si riverbera nel presente ed è di indiscutibile importanza per il futuro del paese.

Una delle ville a mare confiscate a ridosso della battigia.

Infatti, non può sfuggire a nessuno che lo scempio delle ville a mare è ancora lì, irrisolto, a distanza di 28 anni dal sequestro effettuato dalla Procura della Repubblica di Bari nel lontano febbraio 1996.

Non faremo ora la storia infinita e tormentata di questa vicenda che, come è noto, si è chiusa, almeno sotto il profilo giudiziario, nell’aprile 2013 con la sentenza definitiva della Cassazione che ha stabilito l’abusivismo edilizio di quelle costruzioni. Tuttavia è opportuno fare alcune doverose precisazioni e fornire importanti chiarimenti ai lettori.

L’ing. Tricase nella sua risposta al nostro giornale ha minimizzato la sua posizione, sia politica che di tecnico in ambito edilizio, nella vicenda.

In sostanza, egli ha sostenuto ieri sera che le tre lottizzazioni dichiarate illegittime dalla Cassazione (C3, C3.1 e C2.1) furono approvate dal Consiglio comunale di Mola il 15 aprile 1992 (delibere n. 29-30 e 34) con la clausola di uniformarsi alle procedure nazionali e regionali in materia di inedificabilità nei 300 metri dal mare prima di procedere alla stipula delle convenzioni. E quindi l’ing. Tricase ritiene che quelle delibere di approvazione fossero, per così dire, “a posto”.

In realtà, come ha chiarito la Corte di Cassazione, “i piani di lottizzazione in questione non potevano essere approvati alla data del 15/04/1992 poiché vigeva la L.R. n. 7 del 1992 e sussisteva, dunque, anche sotto questo ulteriore complessivo profilo, un vincolo di inedificabilità assoluta.”

Peraltro, la Cassazione, premettendo “che la legge regionale non avrebbe potuto derogare a quella statale, sì che la violazione di uno solo dei vincoli (o statale o regionale) è sanzionata penalmente“, ha aggiunto come nella specie siano difettati gli ulteriori requisiti, previsti dalla normativa, della inclusione delle aree, al momento dell’approvazione delle lottizzazioni, in un P.P.A. (Piano Pluriennale di Attuazione) approvato alla stessa data, e del previo rilascio del parere del C.U.R. (Comitato Urbanistico regionale): il primo, perché alla data di approvazione delle lottizzazioni l’area non risultava inclusa in alcun P.P.A. (quello approvato il 14/07/1987 era scaduto il 31/12/1991 mentre, successivamente, ne era stato approvato altro soltanto con Delib. 11 maggio 1993) ed il secondo perché tale parere non fu, in effetti, mai rilasciato.

Ricordiamo, in ogni caso, che la Legge Galasso, del 1985, prevedeva che per potersi edificare nei 300 metri dal mare, le lottizzazioni dovessero essere già incluse in un PPA (Piano pluriennale di attuazione) vigente all’entrata in vigore della legge, mentre il Comune di Mola si dotò di PPA, appunto, soltanto nel 1987.

Inoltre,  una concatenazione di leggi regionali (con l’iniziale L. 30/1990) stabiliva, in ogni caso, che gli interventi edilizi in zone “C” (di espansione) incluse nei PPA, potevano essere realizzati solo se previsti in strumenti urbanisitici (lottizzazioni) regolarmente e formalmente presentati alla data del 06-06-1990, salvo il parere preventivo del CUR.

In realtà, tutte le lottizzazioni interessate, come hanno dimostrato gli atti processuali, non erano in regola con il dettato della normativa regionale e, in ogni caso, non era stata rispettata la condizione, obbligatoria e vincolante, dell’autorizzazione paesaggistica da richiedere al CUR (Comitato Urbanistico Regionale), giacchè sull’intera area vigeva il vincolo della inedificabilità assoluta che poteva essere eventualmente superata solo con un parere positivo del CUR: ma essa non fu richiesta in tempo utile, giacchè le lottizzazioni approvate nel 1992 non furono sottoposte in via preventiva al CUR.

Il candidato sindaco Tricase con l’ex assessore Antonio Bonamassa e la prof.ssa Anna Maria Santoro

Pertanto, quella clausola – inserita per “cautelarsi” da parte dei consiglieri comunali dell’epoca – era assolutamente improponibile e priva di alcun fondamento giuridico e, quindi, come non apposta: ed è stata la stessa Corte di Cassazione a chiarirlo.

Peraltro, l’ing. Tricase ha addebitato ieri sera maggiori responsabilità alla Giunta Maggi che rilasciò le concessioni edilizie.

In realtà, va detto che la Giunta Maggi si mosse all’interno del solco già tracciato dal Consiglio comunale nel 1992, tuttavia tale Giunta avrebbe dovuto prendere atto che il Settore Urbanistico dell’Assessorato regionale all’Urbanistica aveva risposto il 23.12.1993, “precisando che il parere del CUR doveva essere richiesto in termini preventivi e che lo stesso non poteva essere espresso su piani urbanistici definitivamente approvati” (e cioè sulle lottizzazioni del 15-04-1992 approvate dal Consiglio comunale).

Invece, la Giunta Maggi (nella quale era presente l’attuale candidato sindaco Stefano Diperna e altri attuali candidati al Consiglio comunale per le elezioni del 10 giugno) approvò una delibera, la n. 7 del 04-01-1994, con la quale riteneva erroneamente inesistente alcuna limitazione vincolistica, e conseguentemente provvide a rilasciare le concessioni edilizie, in base alle quali furono realizzate le costruzioni abusive.

Quindi, le responsabilità politico-amministrative sono sicuramente in capo:

1) sia al Consiglio comunale del 1992 (Amministrazione DC-PSI, ma con l’approvazione degli altri gruppi consiliari anche di minoranza PCI – PRI – PSDI – MSI ad esclusione di alcuni consiglieri assenti) che approvò all’unanimità dei presenti (tra cui l’assessore del PSI Tricase) quelle lottizzazioni;

2) sia alla Giunta Maggi che rilasciò le concessioni edilizie in violazione delle norme di legge urbanistiche, sia nazionali (Legge Galasso del 1985) che regionali, in presenza, in ogni caso, di lottizzazioni illegittime.

E’ ovvio che le responsabilità politiche dell’epoca vengono maggiormente alla luce per quanti, nel momento presente, aspirano ad un ruolo di primario livello: così è per i consiglieri comunali del tempo che, ancora oggi (e ce ne sono diversi nelle attuali liste), si ripropongono alle elezioni comunali del 10 giugno; e così è, innanzitutto, per un candidato sindaco che, se eletto, verrebbe chiamato a prendere decisioni fondamentali in relazione alla vicenda, e che, pertanto, dovrebbe fare i conti con decisioni già da lui assunte in materia nel passato.

Ecco perchè è stata evidenziata la posizione dell’ing. Tricase: non per un fatto personale (che non esiste, nella maniera più assoluta), ma per un possibile conflitto di interessi nel decidere ora su questione che ha avuto la sua responsabilità politica nel passato.

Ma non solo. La responsabilità dell’ing. Tricase non attiene solo alle decisioni politiche assunte con il voto da consigliere comunale nell’aprile 1992, ma anche, e non da meno, al suo coinvolgimento nel processo penale che seguì al sequestro giudiziario delle ville a mare che, nel febbraio 1996, erano in avanzato stato di costruzione.

Infatti, e non suoni come un voler rimestare su decisioni giudiziarie dolorose per molti, l’ing. Tricase venne condannato in primo grado dal Tribunale Penale di Bari, alla pari di tutti gli altri imputati (erano ben 62), per il reato di abusivismo edilizio a vario titolo. La condanna – spiacevole per chiunque  – cadde poi in prescrizione, per tutti gli imputati, in secondo grado perchè tra il primo grado e la sentenza d’appello erano trascorsi ben 12 anni! Tuttavia, l’abusivismo edilizio continuò ad essere sanzionato nei successivi gradi di giudizio, con la confisca degli immobili e dei suoli, e la prescrizione della demolizione dei manufatti, sia in secondo grado che in Cassazione.

Ricordiamo che nel procedimento giudiziario si costituirono parte civile il Ministero dell’Ambiente e il Ministero per i Beni e le attività culturali, mentre il Comune di Mola (Sindaco era diventato, nel frattempo, Enzo Cristino) non si costituì, con una decisione mai spiegata: nè politicamente, nè sotto il profilo giuridico-amministrativo.

Anzi, con il netto dissenso espresso da chi scrive (all’epoca ero consigliere comunale di maggioranza, e se ne può trovare traccia nella stampa dell’epoca, oltre che negli atti consiliari), l‘Amministrazione Cristino, nel 1997, presentò perfino ricorso al TAR per impugnare la decisione del CUR (Comitato Urbanistico Regionale) che aveva rigettato una richiesta di autorizzazione in sanatoria (formulata dal Sindaco Ernesto Maggi successivamente al sequestro giudiziario delle costruzioni del febbraio 1996) per la mancata richiesta del parere preventivo di autorizzazione paesaggistica. Il TAR si pronunciò comunque, nel 1998, contro il ricorso del Comune di Mola che, in effetti, non aveva fondamento giuridico.

Altra questione che l’ing. Tricase ha sollevato ieri sera è legata alla sua posizione di Direttore dei lavori nella costruzione delle ville confiscate: a suo parere tale figura sarebbe meno “colpevole” di altre (progettisti, costruttori, proprietari dei suoli).

In realtà, nell’esito del processo non vi è alcuna graduazione nell’attribuzione delle responsabilità, anzi, la sentenza di condanna afferma che: “nella specie i direttori dei lavori hanno concorso alla realizzazione delle numerose violazioni paesistiche, ove si consideri che non vi era alcun dubbio sulla riconoscibilità dell’esistenza del vincolo assoluto e sui divieti di legge alla edificazione. A norma dell’art. 6 L. 28 febbraio 1985, n 47, poi, i direttori dei lavori hanno un obbligo di controllo della conformità dell’opera alle previsioni progettuali e, pertanto, sicuramente vi è responsabilità degli stessi in ordine alle difformità contestate”.

Inoltre, Tricase, pur facendo un’affermazione molto importante (solo però dopo la richiesta specifica del nostro giornale), e cioè che egli si impegna, in caso di elezione a sindaco, a provvedere alla demolizione delle costruzioni abusive, mette alcuni paletti che, secondo le norme, non hanno in realtà ragion d’essere.

Infatti, il candidato sindaco di “Futura” ieri sera ha specificato che, in ogni caso, occorrerà cambiare destinazione d’uso all’area delle lottizzazioni abusive, prima di mettere mano ad un piano di riutilizzo da individuarsi con un concorso d’idee.

In realtà, anche in questo caso, la giurisprudenza consolidata è molto chiara. Nel senso che il Comune è libero di dare all’area confiscata per lottizzazione abusiva la destinazione che ritiene più utile ai fini della gestione del proprio territorio, tenendo comunque conto che quelle lottizzazioni rimangono abusive e, quindi, le costruzioni vanno demolite come stabilito in via definitiva dalla Cassazione.

Pertanto, non è necessario il cambio di destinazione d’uso attraverso una variante al PRG: è sufficiente una delibera di Consiglio comunale che approvi, ad esempio, un progetto per la creazione di un parco urbano con spiaggia urbana e parcheggi perimetrali, recuperando così quell’habitat costiero, compromesso dalle edificazioni abusive, all’utilizzo collettivo in funzione di tutela ambientale.

Si tratta di una proposta che “Città Nostra” ha formulato già diversi anni fa e apprendiamo con piacere che sia stata ripresa, sia pure senza alcun riferimento al nostro giornale, nell’intervento di ieri sera dell’ing. Tricase.

Intanto, è opportuno che – come stabilito dalla legge finanziaria del 2018 – il Comune di Mola provveda all’iscrizione nel registro dell’abusivismo edilizio delle aree confiscate e che, allo stesso tempo, formuli domanda nel fondo stabilito dalla stessa legge per ottenere finanziamenti finalizzati alla demolizione delle ville a mare abusive.

In definitiva, il chiarimento è sempre utile e necessario. Ripeto: “Città Nostra” (e ovviamente chi scrive) non ha nulla di personale contro il candidato sindaco Antonio Tricase.

Alla stampa libera e indipendente però preme, nell’interesse generale, che le responsabilità politiche e tecniche siano ben chiare: non per fare altri e nuovi processi o per colpevolizzare oltre modo le persone (non vogliamo puntare il dito contro nessuno perchè l’errore, quando si amministra, è sempre in agguato: ma la chiarezza è d’obbligo), ma affinchè gli errori non si ripetano (come potrebbe accadere oggi, ad esempio, nella C2.3 del Cozzetto) e si ponga invece mano a soluzioni di recupero ambientale di quelle aree.

In tal senso, il candidato sindaco Tricase l’ha fatto, e ciò va a suo indiscutibile merito, ma anche l’altro candidato sindaco Diperna dovrebbe farlo, come pure i candidati consiglieri che furono coinvolti nella vicenda dovrebbero pronunciarsi e prendere posizione: sia per l’aver approvato le lottizzazioni abusive e poi rilasciato le licenze abusive, come anche, in alcuni casi, per essere stati pure imputati, in veste di tecnici, nel processo che ne seguì.

Tutte persone stimabili a livello individuale, tuttavia esse fanno parte del grave problema che fu generato dalle decisioni che esse stesse assunsero in sede politica e dal ruolo che alcune tra esse svolsero in fase realizzativa.

Va infatti chiarito che, ancora oggi, a distanza di quasi 30 anni dai fatti, molti attori di quella vicenda (sono ben 5 i candidati attuali che votarono nel 1992 quelle delibere e inoltre ve ne sono altri che votarono in Giunta il rilascio delle concessioni edilizie) continuano a calcare le scene della politica e, quindi, potrebbero condizionare, in un modo o nell’altro, l’evolversi di essa e il suo epilogo. Se lo faranno in modo positivo non faranno altro che acquisirne un merito, sia pure tardivo; se invece opereranno diversamente sarebbe, a quel punto, imperdonabile. Ma a quest’ultima ipotesi non vogliamo assolutamente credere.

Teniamo infine conto che, comunque, a rimetterci dall’intera questione non sono stati i politici e neppure gli imputati nel processo (essi, tutto sommato, si sono assunti il rischio di andare incontro a problemi giudiziari) ma gli “acquirenti di buona fede”: cioè quei cittadini che acquistarono sulla “pianta” gli alloggi, versando cospicui acconti anche con grandi sacrifici, e che sono rimasti gravemente penalizzati dai reati compiuti senza averne alcuna responsabilità.

Ad essi continua ad andare la piena solidarietà del nostro giornale e, nello specifico, di chi scrive. E per essi è auspicabile che vengano rifusi del danno ricevuto, con ogni tutela di carattere giuridico per il risarcimento del danno patito.

Con un successivo articolo tratteremo degli altri aspetti programmatici e politici della candidatura di Antonio Tricase.

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