di Vitangelo Magnifico

Domenico Campanile

Un combattente per la libertà e il suo prezioso dono.

Intervista a Domenico Campanile, benefattore del nuovo organo alla Chiesa di San Domenico, che sarà inaugurato Sabato 27 Ottobre, alle ore 19, con la Celebrazione Eucaristica e la benedizione di Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo della Diocesi di Bari. All’organo la Maestra Margherita Sciddurlo.

In uno dei “momenti” più bui della vita amministrativa di Mola, consola considerare che ci sono persone e associazioni che, attraverso la cultura e l’arte, riescono a tenere accesa quella fiammella intellettuale che ci lascia ancora sperare in una ripresa che ci ricongiunga ad una antica e più gloriosa consuetudine, pur riconoscendo i limiti di una comunità del profondo Sud.

Ciò considerato, appare di grande rilievo la donazione ad una chiesa di un moderno organo da parte di un Molese che i più non conoscono ma che ha avuto una vita coerentemente spesa nell’interesse della collettività senza mai nulla pretendere. Noi di Città nostra lo abbiamo incontrato, interrogato e tracciato il seguente profilo mediante un’intervista intercalata da qualche precisazione e riflessione.

Quest’uomo, Domenico Campanile, Mengocce per gli amici e i familiari, chi scrive lo conosce da tempo; ciononostante ignorava alcuni aspetti della sua vita emersi dall’intervista.

Domenico, come è cominciata la tua vita?

Sono nato a Mola il 19 maggio 1924 da Giovanni e Colomba Buttaro. Mio padre faceva u galessire (il carrettiere), che trasportava soprattutto prodotti agricoli da Mola a fretérre, arrivando fino ad Altamura via Rutigliano, Casamassima, Acquaviva delle Fonti e Cassano. Impiegava circa dodici ore. Partiva nel pomeriggio per arrivare ad Altamura nelle prime ore del mattino successivo, ovviamente dopo una sosta a metà strada per fare riposare e rifocillare il cavallo, o meglio, il mulo. I viaggi più lunghi li faceva chi aveva un mulo o un cavallo più resistente. Gli altri si dovevano accontentare dei paesi più vicini, Santeramo, Noci, Putignano, Gioia del Colle, Acquaviva, ecc. Si trasportavano soprattutto i famosi pomodori della marina per i quali Mola era famosa. Anche mio padre produceva i suoi pomodori avendo dei terreni alla penna verso Bari.

Quanti figli eravate?

Cinque, tre maschi e due femmine. Ovviamente quando eravamo ragazzi facevano tutti i contadini che oltre a lavorare i nostri terreni andavamo alla giornata nei campi degli altri, andando la mattina presto in Piazza, vicino alla Maddalena, a perméette, cioè trovare chi ti prendeva a lavorare. Poi ognuno ha preso la sua strada; uno diventò carrozziere e l’altro faceva u méestetraièine, costruiva carri agricoli.

Quali scuole hai frequentato?

Fino alla quinta elementare con Don Antonio Mancini, un grande maestro. A 36 anni ripresi gli studi da privatista per prendere la licenza media. Mi serviva per fare carriera nella SST cioè l’Azienda di Stato per i Servizi Telefonici che stava nel Palazzo delle Posta a Bari dove fui assunto come Operatore Telefonico. Ripresi a studiare da privatista e per farlo mentre lavoravo presi una casa a Bari in via Dante, avevo tre professori e l’abbonamento al ristorante “Napoleone” in Corso Cavour.

La facciata della chiesa

Come andò con il militare; so che hai fatto il Carabiniere.

Io volevo andare in Marina invece mi mandarono nell’Esercito. Perciò feci la domanda per i Carabinieri. Fui preso e lo feci dal ’43 al 48. L’8 settembre del ’43 ero a Roma alla Stazione di Torpignattara dove ero in servizio. Io e altri Carabinieri passammo al servizio dei tedeschi che mi mandarono all’EIAR, come si chiamava allora la radio. Poi, aiutato ed incoraggiato da alcune ragazze scappammo e ci rifugiammo nello scantinato di un palazzo nella zona del Tuscolano dove potemmo finalmente mangiare qualcosa. Ma ci dispiaceva dover constatare che famiglie si levavano quel poco che avevano da mangiare per darlo a noi giovani militari. Fu così che scappammo e arrivai a piedi a Mola, senza camicia, solo con una canottiera addosso e ad ottobre quando cominciava il freddo a farsi sentire. A Bari, dove mi presentai per riprendere servizio, ci riorganizzarono e con altri Carabinieri arrivai a Ventimiglia per aiutare la Resistenza dove collaboravano anche i partigiani francesi che avevano da mangiare ed erano ben equipaggiati, mentre noi italiani avevamo poco o niente. Brutta cosa la guerra!

E qui aggiungo i due encomi che Domenico meritò per l’impegno nella Resistenza: uno, del 30 settembre del 1945, è un “Certificate of Merit awarded to Carabiniere Campanile Domenico of Contingente “R” a Member of the Italian Armed Forces who fought with the Allied Armies  for the liberation of Italy and who is commended for his service under the allied command and for his contribution to the cause of freedom”) a firma del Generale H. R. Alexander, Field-Marshal, Supreme Allied Commander, Mediterranean Theater, con tanto di traduzione in italiano anche questa con firma autografa del medesimo grande ufficiale  inglese. L’altro, del 25 aprile 1984, è un Diploma d’Onore al Combattente per la Libertà d’Italia 1943-1945 come partecipante alla guerra di Liberazione inquadrato in reparti regolari delle Forze Armate con firme autografe di Sandro Pertini, Presidente della Repubblica, e Giovanni Spadolini, Ministro della Difesa.

Chiunque ne andrebbe orgoglioso! Per Domenico è solo un episodio della sua vita da giovane e in un momento difficilissimo per chiunque e soprattutto per chi indossava una divisa: bastava un semplice sospetto per essere messo al muro!

Quindi dopo la guerra riprendesti a far il contadino…

Sì, fino al 1960 quando entrai ai telefoni. Comunque, anche dopo fin quando ho potuto continuai a non trascurare i fondi e dare una mano in famiglia. Mi sposai nel 1964 con Rosa Calisi, una sorella di Carlo Calisi, il suocero di Margherita Sciddurlo. Non abbiamo avuto figli.

Tra i tuoi impegni non hai trascurato quelli pubblici e la politica…

Parlare di politica è troppo perché non l’ho fatta come si pensa. Gli amici democristiani nel 1970 mi chiesero di mettermi in lista. Fui eletto e mi fecero pure assessore all’Annona e all’Agricoltura nella prima esperienza di centro-sinistra con la Giunta DC – PSI con Giovanni Padovano Sindaco e con Mimì Gaudiuso Vice-Sindaco. Facemmo molte cose e penso che sia stata la migliore amministrazione di Mola. Fui eletto anche nella successiva elezione del 1976 e rifeci l’Assessore alle Finanze e all’Agricoltura con il Sindaco Peppino Papeo, che durò poco, fino ad aprile del 1976 quando si dimise il repubblicano Capozza. Dopo tanta discussione, fu votata la Giunta Gianfrate, che ebbe l’appoggio esterno anche dei Comunisti. Pur avendo una grande stima per Tonino Gianfrate non volli entrare in giunta e così finì il mi impegno di amministratore pubblico.

E io ricordo con piacere i tanti incontri che organizzammo sul carciofo – del quale eri stato un pioniere all’inizio degli Anni Cinquanta nel foggiano – per aiutare una coltura in grande espansione e diventata simbolo della nostra agricoltura.

Anche Giovanni Padovano ci teneva molto e non ci lasciammo sfuggire l’occasione che ci forniva il Centro Cynar a Polignano, dove ho partecipato anche ai Congressi internazionali sul Carciofo che anche tu collaboravi a organizzare.

E sì; bei tempi quando eravamo importanti per il carciofo e tutti venivano a Mola per imparare. Ora invece…

Evidentemente neanche tutte le gite organizzate dall’Amministrazione Comunale quando io ero Assessore per portare i nostri agricoltori a visitare le altre esperienze italiane in Sicilia, a San Remo, in Emilia-Romagna sono servite. Così va il mondo!

Sei stato per lungo tempo anche Presidente dell’Associazione Combattenti.

Sì. E mi fa piacere ricordare che alle prime elezioni interne sconfissi il Dottor Gianvito Pesce, anche lui ferito in guerra. Anche se battuto da me, mi riteneva il più indicato per quell’incarico. Che brava persona Gianvito, da ogni punto di vista.

E veniamo al nuovo organo della Chiesa di San Domenico. Come ti è venuta l’idea?

Purtroppo, né io, né i miei fratelli e sorelle abbiamo avuto figli. Perciò volevo lasciare qualcosa di utile alla comunità. In un primo momento pensai di regalare un’autoambulanza; ma pensai che è una cosa che dura poco. Pensai pure a qualcosa di arredo di valore per la Chiesa di San Domenico, la mia chiesa, ma non volevo lasciare tanti oggetti che non avrebbero raggiunto il mio obiettivo. Parlando con Margherita Sciddurlo, ci venne in mente l’idea di un organo moderno, che manca a Mola, e che può durare nel tempo e che è uno strumento ideale sia per una chiesa che per la collettività sull’esempio dell’organo di Sant’Antonio. Con la guida di Margherita si è arrivati alla progettazione e all’affidamento alla Ditta Zanin che mi dicono è molto importante nel settore. Ora aspettiamo di sentirlo e inaugurarlo. Non ti nascondo che non vedo l’ora che arrivi la fine di ottobre. Vista la mia età…!

Margherita Sciddurlo

Noi tutti, caro Domenico, siamo ansiosi come te di sentire il suono di questo giovane organo Zanin sicuri che saprà aggiungersi al meraviglioso Petrus de’ Simone del 1747 di Sant’Antonio, il più bel regalo che gli antenati lasciarono ai molesi. Noi Molesi di oggi – ma anche quelli che verranno- dovremmo essere molto grati a te, che con un atto di devozione e generosità hai saputo continuare quella bella tradizione mettendo a disposizione – e non solo della nostra comunità – uno strumento che sa infondere meditazione, cultura e pace. Il fatto che sia stato tu a farlo è coerente con la tua vita e quanto riportato sul certificato di merito rilasciatoti dal Generale Alexander quando eri un giovanissimo Carabiniere e avevi combattuto e rischiato la vita per gli altri senza mai nulla chiedere in cambio.

Caro Domenico, sono sicuro che anche il resoconto di questa intervista ti sembrerà eccessivo. Invece è un atto dovuto verso una cara e brava persona. Mola non ti dimenticherà facilmente.

(Questa intervista è stata pubblicata sul mensile “Città Nostra” attualmente disponibile nelle edicole e librerie)

 

 

 

 

Condividi su: