di Nicola Bellantuono

Negli interventi edilizi di demolizione e ricostruzione, l’edificio ricostruito deve coincidere con quello demolito sia in volume, sia in altezza massima, sia nell’area di sedime. Secondo la Corte Costituzionale, tali previsioni, che sono state introdotte ad aprile 2019 nel Testo Unico di Edilizia per effetto del decreto “sblocca cantieri”, hanno carattere vincolante in quanto parte di una norma di principio in materia di governo del territorio. Di conseguenza, i giudici del Palazzo della Consulta hanno dichiarato illegittime, con effetto retroattivo, alcune previsioni di legge della Regione Puglia che regolavano la materia nell’ambito delle norme sul Piano Casa.

Si tratta in particolare dell’art. 2 della legge regionale n. 59/2018 (che modificava e integrava la legge regionale n. 14/2009) e degli articoli 7 e 8 della legge regionale 5/2019. Nel loro complesso, questi articoli consentivano che, in «presenza delle urbanizzazioni primarie previste», a seguito della demolizione di edifici a destinazione residenziale o non residenziale si potessero realizzare interventi edilizi di ricostruzione «anche con diversa sistemazione plano-volumetrica, ovvero con diverse dislocazioni del volume massimo consentito all’interno dell’area di pertinenza», ottenendo fino al 35% di volumetria in più rispetto a quella legittimamente esistente, anche quando questa era effetto di sanatorie edilizie atte a regolarizzare opere difformi dalle prescrizioni urbanistiche vigenti all’epoca della loro realizzazione.

Con la pronuncia di incostituzionalità arrivata lunedì, la Consulta ha bocciato la norma regionale pugliese con effetto retroattivo, ossia a partire dall’entrata in vigore del decreto sblocca-cantieri (17 aprile 2019). Alle imprese del comparto edilizio, alle maestranze, ai committenti e agli stessi Uffici Tecnici Comunali si impone così di prenderne atto non solo per il futuro ma anche in relazione alle pratiche in corso di valutazione. Si tratta di un’ulteriore fonte di incertezza su un settore che, al pari di molti altri, sta pagando le conseguenze dell’epidemia e che non sarà felice di apprendere il repentino mutamento del quadro normativo e la conseguente riduzione delle opportunità di manovra.

La pronuncia della Corte Costituzionale amputa infatti una parte rilevante della legge regionale pugliese sul Piano Casa, ma è evidente che la questione possa riverberarsi sulle analoghe disposizioni adottate dalle altre Regioni.

Il cosiddetto Piano Casa, fu introdotto su tutto il territorio nazionale con il D.Lgs. 112/2008 come misura temporanea finalizzata a rilanciare l’attività edilizia in deroga agli strumenti urbanistici vigenti e migliorare la qualità del patrimonio edilizio esistente in termini di prestazioni energetiche, barriere architettoniche, rischio sismico e qualità dei manufatti. In Italia sette Regioni e una provincia autonoma hanno reso il Piano Casa permanente; sono invece otto le Regioni che lo hanno prorogato più volte; tra queste vi è la Puglia, che al momento prevede la possibilità di accedervi sino a dicembre 2020.

 

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