di Francesco Spilotros

*Una storia di incomprensione linguistica familiare che genera un caso internazionale di lunga e difficile soluzione, con l’aggravante della distanza e della povertà culturale. Un episodio colorito di umorismo che ha le sue radici in un microcosmo del meridione d’Italia.

Durante tutto il Novecento il nostro paese ha assistito ad una notevole e costante migrazione verso le Americhe, in particolare verso gli Stati Uniti d’America dove migliaia di molesi si sono trasferiti, alcuni temporaneamente, altri si sono portati dietro la famiglia stabilendosi definitivamente nel nuovo continente e rinunciando a tornare al paese natio.

Altre volte, invece, era solo il padre di famiglia a trasferirsi e a mandare i suoi guadagni a Mola. In questo caso il pater familias tornava una o due volte l’anno a trovare i suoi cari e le lettere e i pacchi erano l’unica maniera per tenersi in contatto: l’arrivo di una lettera era un evento speciale e quello di un pacco davvero straordinario.

Nonno Ciccio era emigrato nell’America del Nord, esattamente a Brooklyn dove viveva con la comunità dei molesi che negli anni tra le due guerre mondiali era diventata molto numerosa.

Egli aveva frequentato fino alla quinta elementare e poi era dovuto andare a lavorare nei campi prima e a bordo delle navi mercantili in seguito. Ma il miraggio dell’America lo aveva sempre incuriosito, così quando ne ebbe l’occasione non se la fece sfuggire, ammaliato dai lauti guadagni che i suoi compaesani dicevano di fare lavorando al long shore. Approfittò di un parente che si era reso disponibile per farsi fare un atto di richiamo che gli permise di trasferirsi in USA per lavorare.

Appena arrivato, dopo il periodo di quarantena a Ellis Island, subito trovò un lavoro ben retribuito che gli permise di sostenere la sua famiglia a Mola.

L’unico modo di restare in contatto con i suoi cari erano le lettere che scriveva ogni settimana e ogni tanto poteva permettersi di inviare anche un pacco con tanti regali all’interno. Ogni volta nella lettera descriveva minuziosamente il contenuto del pacco: “c’è del caffè, le sottovesti per le mie dilette figlie e la mia cara nonna, le cioccolatine per i bambini, i covrappens per i miei figli, alcune matite e penne, …” e concludeva la lettera con “ci sono anche calze e tzoll”. Al ché, la nonna cominciò a cercare nel pacco le zolle, le zolle di zucchero perché erano l’ultima cosa che il nonno aveva citato nella sua lettera. Ma pur guardando attentamente e rivoltando la scatola non riuscì a trovare le zolle di zucchero, quindi, tutti pensarono che avesse dimenticato di metterle nel pacco. Allora gli scrissero una lettera per ringraziarlo di tutti i doni ma lo fecero partecipe del fatto che aveva dimenticato di inserire le zolle di zucchero nel pacco pur avendole preannunciate nella lettera. Questa storia andò avanti per un bel po’ perché una lettera ci impiegava circa 30 giorni per giungere a destinazione e calcolando l’andata e il ritorno, oltre al fatto che furono necessarie alcune lettere per spiegare e capire che di zolle di zucchero non vi era traccia neanche nelle più lontane intenzioni di nonno Ciccio, il chiarimento si ottenne solo quando, dopo nove mesi, il nonno torno a Mola per restarvi alcune settimane.

Fu una sera che, durante una cena, si prese il discorso delle missive che spesso andavano perdute e la nonna chiese al suo consorte perché non avesse più mandato le zolle di zucchero che avrebbero fatto tanto felici i nipoti. Al ché il nonno provo a ricordare di cosa parlasse sua moglie ma non riuscì a trovare alcun riferimento anche perché non aveva mai pensato di mandare delle zollette di zucchero per i bambini perché mandava loro le cioccolatine. A quel punto la nonna pensò bene di prendere la lettera nella quale egli annunciava la presenza delle zolle nel pacco e di mostrarla al consorte incredulo. In un primo momento comprese anch’egli che nella lettera aveva parlato di zolle ma qualcosa non gli tornava per il verso giusto, quando ad un certo punto, ebbe un’epifania e comprese di quale qui pro quo si fosse trattato. E allora spiegò ai suoi cari che, senza rendersene conto, aveva scritto la frase conclusiva della lettera in inglese, volendo significare “questo è tutto” (and that’s all), l’unico problema era stato che il nonno Ciccio, avendo imparato l’inglese da pochissimo tempo, aveva scritto la frase così come la si pronuncia, traducendo bene la congiunzione (and= e) ma scrivendo il resto “e zoll” così come veniva pronunciato dai molesi che egli frequentava a Bruccolino.

*pubblicato sul mensile Città Nostra – maggio 2019

 

 

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