di Vitangelo Magnifico

Mandorlo, collezione varietale

*Già all’inizio dell’anno, dopo alcuni giorni di sole e cielo sereno, cominciano a comparire i primi fiori dei mandorli delle varietà precocissime. Segue, in successione, la fioritura delle varietà più tardive fino a raggiungere il pieno della fioritura all’inizio della primavera. Segue la fioritura dei peschi, dei ciliegi e degli altri fruttiferi appartenenti alla Famiglia botanica delle Rosaceae.

Con la grande trasformazione dovuta all’introduzione del tendone per la produzione dell’uva da tavola e la successiva diffusione del carciofo, come l’ulivo e il carrubo anche il mandorlo fu sacrificato alla nostra ‘rivoluzione verde’ iniziata negli anni cinquanta del secolo scorso. Attualmente, nelle nostre campagne sporadicamente si vedono giovani e curati alberi di mandorle mentre individui isolati in aree marginali o ai bordi dei campi danno un desolante spettacolo che stride con l’importanza che ebbe in Puglia la più nobile rappresentante della frutta secca; gloria che ancora viene celebrata attraverso l’utilizzazione in pasticceria. Oggi, il grosso della produzione viene dalla California, che, con varietà meno pregiate di quelle pugliesi e siciliane, controlla il mercato mondiale delle mandorle.

Stando alle statistiche ufficiali, nel 1939, nell’agro di Mola si stimavano circa 750 ettari prevalentemente in coltura consociata ad altre arboree con una produzione totale annua che poteva superare anche i 7.000 quintali di prodotto in guscio.

Il mandorlo, Amygdalus communis secondo l’antica classificazione di Linneo e Prusus dulcis secondo Miller, è originaria dell’Asia Centro Occidentale. Fu portata in Grecia dai Fenici – tanto che i Romani la chiamavano ‘noce greca’ – quindi in Sicilia per diffondersi nei paesi del bacino del Mediterraneo.

Già la specie Amygdalus communis veniva suddivisa in tre sottospecie; sativa, con seme dolce e endocarpo duro; amara, con seme amaro ed endocarpo duro; e fragilis, con seme dolce e endocarpo fragile. Da questa antica classificazione botanica è facile intuire che alla prima sottospecie appartengono le varietà comunemente coltivate da noi; alla seconda le mandorle amare per il contenuto di amigdalina nel seme, un alcaloide tossico che per idrolisi digestiva produce acido cianidrico (lo stesso usato nella camera a gas!); e alla terza le mandorle mollesche, alla quale appartengono gran parte delle varietà delle mandorle californiane.

Fiori di mandorlo

Il mandorlo ha fiori perfetti, cioè con entrambi i sessi (ermafroditi), e petali e sepali ben sviluppati. Al centro del fiore c’è la parte femminile (gineceo) formata dallo stilo con all’apice lo stigma che cattura il polline e alla base l’ovario con uno o due ovuli; tutt’intorno c’è la parte maschile (androceo) costituita da 20 a 40 filamenti staminali con in punta le antere che contengono il polline. Completano il tipico fiore del mandorlo cinque sepali di colore verde-marroncino e cinque petali di colore bianco tendente al rosato in alcune varietà dolci e più pronunciato negli alberi di mandorle amare.

Il frutto del mandorlo è una drupa con esocarpo carnoso (mallo) comunemente verde e endocarpo legnoso più o meno friabile. Il seme, la mandorla, è coperta dall’episperma, una pellicola o tegumento marrone. La presenza di due semi nell’endocarpo costituisce un difetto che deprezza il prodotto. Comune è anche la presenza di mandorle siamesi con parti dell’endocarpo in comune, che i molesi chiamavano i fête. Le mandorle spremute a freddo forniscono un olio ricco di acidi organici insaturi, monoinsaturi e polinsaturi (oleico, linoleico, palmitico, stearico, ecc.) che trova applicazioni limitate nell’alimentazione e nella regolazione del tratto intestinale ma che è molto apprezzate nella cosmesi per i benefici per la pelle.

In passato, quando i semenzai venivano fatti a terra, per la produzione delle piantine di mandorlo venivano seminate le mandorle amare che le arvicole (topi di campagna) e altri animali terricoli non mangiavano essendo tossiche. Le piante messe a dimora in campo venivano, quindi, innestate con le varietà preferite. Oggi, le piantine vengono prodotte in moderni vivai utilizzando tutte le tipologie di mandorle per ottenere anche attraverso incroci portinnesti idonei alle diverse caratteristiche del terreno. Il mandorlo è una specie arborea che cresce solo nelle aree a clima caldo-arido estivo e non eccessivamente piovoso durante l’inverno essendo molto sensibile ai ristagni d’acqua e agli attacchi di funghi parassiti delle radici e del tronco. Pertanto, la scelta dei portinnesti è fondamentale per la durata del ciclo produttivo e vitale di un moderno mandorleto. Le condizioni climatiche della Puglia e della Sicilia fanno sì che le due regioni siano storicamente le nostre regioni più mandorlicole dove, nel tempo, sono state selezionate e conservate le varietà più apprezzate: “Tuono”, “Genco”, “Filippo Ceo”, Fragiulio, eccetera.

Mandorle in guscio

Nella produzione di mandorle, oltre a quanto detto per l’ambiente, è importantissima tenere in grande considerazione la biologia fiorale della varietà essendo questa specie arborea a fecondazione incrociata caratterizzata da piante con fiori prevalentemente autoincompatibili, cioè che sono fecondati solo da polline proveniente da altre piante o della stessa o di diversa varietà. La scoperta di piante autocompatibili, i cui fiori possono essere fecondati dal polline della stessa pianta, ha permesso di selezionare varietà più produttive soprattutto se accompagnate da una ritardata fioritura che può avvantaggiarsi dell’attività di un maggior numero di insetti e api bottinatrici nelle giornate primaverili di temperature crescenti. Tra le tecniche di coltivazione una grande attenzione bisogna prestare alla potatura di produzione che deve rispettare le branche fruttifere con i rametti di forma diversa (brindilli, dardi fioriferi o mazzetti di maggio, ecc.) che sviluppano le gemme a fiore.

La scelta delle varietà come garanzia di una buona e continua produzione, il miglioramento delle tecniche colturali e l’ausilio di macchine per agevolare la raccolta e tutte le operazioni successive, come la smallatura, l’essicazione e lo schiacciamento dei frutti, sono requisiti importanti per una moderna mandorlicoltura. Ovviamente, non si assiste più da tempo ai riti tipici del periodo estivo in cui si raccoglievano le mandorle: l’agricoltore che con una lunga pertica batteva i rami per l’abbacchiatura, gli operai, ma spessissimo i membri della famiglia, che raccoglievano da terra i frutti e che in seguito intorno ad un sacco provvedevano alla smallatura, operazione che spesso veniva fatta di sera intorno ad un tavolo o ad un sacco arrotolato fuori dall’uscio di casa per godere del fresco e magari  utilizzare l’aiuto dei vicini. Le mandorle, poi, venivano messe ad asciugare su teli nelle aie o, spessissimo, sul terrazzo di casa prestando attenzione alle eventuali piogge che potevano bagnare i gusci e lasciarli umidi con il conseguente sviluppo di muffe che potevano conferire ai frutti il caratteristico cattivo odore e perfino sviluppare tossiche micotossine.

Mandorlo, Cv Fragiulio

L’eccessiva frammentazione delle produzioni e la tradizionale disorganizzazione commerciale delle produzioni meridionali non ha permesso di resistere alla concorrenza delle produzioni di mandorle di altri paesi nonostante la riconosciuta superiorità qualitativa. Ciò ha impedito anche l’ammodernamento delle produzioni italiane e il finanziamento pubblico di durature ricerche sulla coltivazione del mandorlo nonostante la nostra grande tradizione in materia. Ne è testimone l’antica collezione delle varietà di mandorlo presso la ex-Stazione Agraria di Bari (l’attuale Centro di Ricerca Agricoltura e Ambiente del CREA), che ha prestato le foto per questo articolo.

A causa della crisi di alcune produzioni agricole tipiche degli ambienti meridionali, il mandorlo sembra destare nuovo interesse in alcune aree della Sardegna e della Sicilia mentre ancora debole è l’attenzione da parte dei nostri agricoltori nonostante gli sforzi di pochi per mantenere alto il prestigio di alcune antiche tipologie e luoghi di produzione.

*Articolo pubblicato sul mensile Città Nostra di novembre 2019

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