di Giovanni Miccolis

Dopo la lettura del libro di Maurizio Modugno “Il Vitello Rampante”, anche se non in grado di illustrare adeguatamente un volume di grande valore, vorrei esporre le mie (umili) riflessioni:

1)- Il libro in questione è “un romanzo storico” (per stessa definizione dell’autore) e non un semplice libro di storia con la narrazione degli eventi di un periodo. Tratta, in particolare, della vicenda di un membro della famiglia Vitulli – Donato Antonio – giovane orgoglioso, ambizioso e spregiudicato.

Per arrivare a Donato Antonio dobbiamo partire da Vitulli Giovanni II (1/66/1667-8/11/1750) sposato con Carmela Russo, che ebbe tra i figli: Francesco Paolo (n. 1704) e Giulio.

Francesco Paolo ebbe nove figli dalla moglie Giuseppina Antonia Spilotros, col primogenito Giovanni (regio giudice a Bitonto e cavaliere dell’Ordine Costantiniano) e l’ultimogenito Donato Antonio (n. 1749, m. 2/1/1813 – cavaliere e commendatore dell’Ordine Costantiniano).

Da precisare che Francesco Paolo aveva acquistato una commenda dell’Ordine Costantiniano per affiancare la famiglia ai “nobili nuovi dell’epoca” e se ne avvalsero i due figli citati; Donato Antonio (giovane ambizioso) richiese anche la nomina a commendatore dell’Ordine, come vedremo dopo.

2)- Donato Antonio era anche audace e, per non “disperdere” in altre famiglie la proprietà  destinata alla nipote, figlia del regio giudice Giovanni, la sposò.

Giovanni era coniugato con Elisabetta De Nigris, figlia unica di Vito Nicola De Nigris (proprietario di una grande villa e masseria a Polignano, del valore di oltre trentamila ducati) e da loro nacque Maria Giuseppa, unica figlia.

Suo fratello Giovanni acconsentì all’insolita unione, ma la ragazza era angosciata: come era possibile confondere l’affetto con l’amore? Seguirono numerosi colloqui con le zie in convento a Mola, a Rutigliano e ad Acquaviva; le suore furono più pragmatiche e spiegarono alla nipote che non si trattava di uno scandalo: fatti simili accadevano nelle grandi famiglie e dall’affetto nasceva l’amore!

3)- L’autore, raffinato musicologo, ha strutturato il romanzo non nei consueti capitoli, ma in un “tema” ripartito in quindici “variazioni” ed in una “fuga” conclusiva. Un modo raffinato per trattare la materia! Così il lettore si trova di fronte ad una narrazione di crescente drammaticità. L’incalzare degli eventi sembra avere un sottofondo di “trama musicale” e la descrizione coinvolge sensibilmente il lettore. Ecco un breve brano dell’inizio degli eventi: «Era dal 1723 che una simile tempesta non s’abbatteva sul litorale della Terra di Bari. Sembrava, in quel primo pomeriggio d’ottobre del 1775, che un cupo, furioso turbine pretendesse di far rovina dell’universo, assecondato nell’ira dal rimbombare d’onde e dal sibilare di venti, quasi fischi demoniaci. Nessuna creatura vivente era visibile, né in terra, né in mare. I bagliori sghembi e frequentissimi dei fulmini consentivano però, ma solo a tratti, di scorgere innanzi alla bufera, come a tentar con audacia di prevenirne il gorgo più furente, una carrozza pitturata d’azzurro, con uno stemma sullo sportello: era il coupé di casa Vitulli, lanciato a tutta velocità sul fango giallo e sugli spezzati basalti della Via Appia Traianea, fra il bivio per Triggiano e Lama San Giorgio. All’interno, illuminati da un fioco lume, due passeggeri. Uno era il fratello più grande di Donato Antonio, don Nicola, l’arciprete emerito della Chiesa Matrice. L’altro era Donato stesso, che pareva come eccitato da una disfida in atto, ora voltandosi a guardar dal finestrino posteriore; ora aprendo quello anteriore, incurante della pioggia e degli schizzi di mota che n’entravano…».

4)- Dopo il rituale del sontuoso matrimonio seguì l’elaborata procedura per conseguire il titolo di cavaliere e commendatore del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. All’istanza rivolta ai Cavalieri dell’Ordine Blanco e Caparelli fu doverosa la lunga ed elaborata indagine del cavaliere-inquisitore di Terra di Bari, conte Giovannantonio de Ilderis (m. 22/3/1801) svolta a Mola (consultando i registri parrocchiali e valutando le attività civili e religiose della famiglia)  e presso il palazzo di Bitonto (ascoltando più volte il candidato Donato Antonio). I documenti di quella elaborata procedura, rinvenuti dall’autore presso la Biblioteca S. Teresa dei Maschi-De Gemmis di Bari, sono riprodotti nel libro.

5)- Donato Antonio, col suo prestigioso titolo, fu ammesso a corte per i piaceri dei blasonati, compresi il baciamano del re Ferdinando IV ed i rituali della nobiltà partenopea.

Seguirono i tumultuosi avvenimenti del periodo napoleonico, con i disordini in tutto il Regno dopo la fuga a Palermo del Re, quindi la restaurazione con il ritorno del sovrano.

Donato Antonio, durante i tumulti, finì per circa sei mesi in prigione, ma ne uscì grazie al Re, il quale si ricordò del commendatore presente alla “cerimonia del baciamano” per il compleanno di Sua Maestà.

6)- Dei figli di Donato Antonio e Maria Giuseppa Vitulli viene esaminata la vicenda di Giovanni (1780-1836), ufficiale del regio esercito che sposa donna Carolina Mangiacapra (n. 1805), alla quale dona un magnifico anello d’oro con lo stemma di famiglia: uno smeraldo per l’albero e tre brillanti per le stelle. Dopo la morte del marito viene rapidamente meno l’agiatezza familiare ed il libro si conclude con l’ultimo doloroso atto, quello del prezioso anello portato al Monte dei Pegni. É la “fuga” conclusiva, l’epilogo amaro del romanzo!

7)- In copertina l’autore riporta lo stemma di famiglia presente all’inizio della pubblicazione dell’avv. Francesco Trequadrini “Difesa del d. Giovanni Vitulli di Giulio  nella Regal Camera di S. Chiara “ in possesso della Biblioteca S. Teresa dei Maschi-De Gemmis di Bari, ma non riporta nel libro le vicende della pubblicazione, ritenute ininfluenti allo svolgersi degli eventi oggetto del romanzo.

É una scelta ponderata dell’autore, ma forse (per la curiosità dei lettori) è utile soffermarsi brevemente sul contenuto della pubblicazione.

In precedenza si è detto che Vitulli Giovanni II (1/66/1667-8/11/1750), sposato con Carmela Russo, ebbe tra i figli: Francesco Paolo (n. 1704) e Giulio.

Francesco Paolo ebbe nove figli dalla moglie Giuseppina Antonia Spilotros, col primogenito Giovanni e l’ultimogenito Donato Antonio. Giovanni era coniugato con Elisabetta De Nigris, figlia unica di Vito Nicola De Nigris (proprietario della villa e masseria a Polignano) e da loro nacque Maria Giuseppa, unica figlia. Poichè Elisabetta era l’erede “naturale” della villa di Polignano, Donato Antonio volle sposare la figlia Maria Giuseppa per non disperdere il patrimonio.

Giulio, l’altro fratello di Francesco Paolo, aveva due figli: Giovanni (che portava il nome del nonno) e Teresa, sposata con Vito Nicola De Nigris (il proprietario della villa e masseria di Polignano); da Teresa e Vito Nicola nacque una sola figlia, Elisabetta, moglie di Giovanni Vitulli di Francesco Paolo.

Ed ecco il fattaccio! Vito Nicola De Nigris, il quale abitava a Mola, ad un certo punto si ammalò gravemente e volle fare testamento chiamando in casa il notaio Vito Nicola Capozzi per la trascrizione delle sue volontà. Poichè l’atto riguardava anche donazioni era necessaria la presenza del giudice per la sua efficacia di fronte alla legge. Ma il “giudice a contratto” Cristofaro Galione non si presentò avendo un altro impegno ed inviò in sua vece il magnifico Angelantonio Roberti.

Con il testamento Vito Nicola donò tutti i suoi beni a Vitulli Giovanni di Giulio, fratello di sua moglie. Vitulli Giovanni di Francesco Paolo si irritò moltissimo e minacciò ricorso. Il donante, determinato a rendere esecutive le decisioni prese, ripetè le sue dichiarazioni davanti al notaio Felice Aliberti di Napoli.

Nel 1771 Vitulli Francesco Paolo (padre di Giovanni) stipulò uno strumento di concordia col quale si attestava che l’atto del notaio Capozzi non era falso ma semplicemente nullo, perchè a quel tempo Vito Nicola De Nigris “era di mente poco sana”. Nel frattempo, Vitulli Giovanni di Giulio e Teresa sua sorella rinunciarono ai lori diritti chiedendo pubblico perdono.

Quando Maria Giuseppa giunse alla maggiore età inoltrò altra querela chiedendo che l’atto fosse riconosciuto falso e non semplicemente nullo. Dopo varie peripezie i figli di Giulio – Giovanni e Teresa – ottennero il perdono giudiziario. Nel frattempo, Maria Gisepppa e Donato Antonio si sposarono.

8)- L’autore, se ritiene irrilevante ai fini della narrazione gli avvenimenti innanzi esaminati, si sofferma su una circostanza apparentemente di nessun conto: l’incontro a Bari tra Donato Antonio ed un pellegrino, oltraggiato e ferito da un bravaccio. Vitulli lo difende e poi riceve i ringraziamenti di quel viandante che dice di chiamarsi Benoit-Joseph Labre.

Anni dopo Donato Antonio legge sul giornale “Diario di Roma” la notizia della morte del pellegrino francese, dichiarato in seguito santo l’8 dicembre 1881.

Insomma, il dott. Modugno, eccellente storico e musicologo, rende noto che ormai è don Maurizio, sacerdote lontano dagli avvenimenti materiali della storia e vicino alle vicende spirituali.

 

 

 

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