I- La descrizione di Giovanni Adorno

Sappiamo che Mola fu rifondata nel 1277 e che il suo era un piccolo borgo abitato da 150 famiglie circa. La vita dei nuovi abitanti fu certo stentata per i terreni da dissodare rimasti incolti da secoli, per la mancanza d’imbarcazioni, per l’assenza d’altre attività produttive.

Tuttavia, dopo la partenza nel 1350 degli invasori ungheresi, cominciò un periodo di relativa calma che permise lo sviluppo delle attività produttive relative all’agricoltura ed alla pesca.

Nelle campagne vi erano vaste estensioni di terreni con alberi di olivo, di mandorlo e di carrubo; notevoli erano le colture di ortaggi; non mancavano coltivazioni di grano, orzo e avena. Importante era la pastorizia con 1.500 capi di grosso bestiame e 18.000 di bestiame minuto.

Si svilupparono, inoltre, i trasporti via mare. Infatti, Mola aveva una discreta attività commerciale con altri porti «intra regnum» (Vieste, Trani, Bari, Monopoli, Otranto) ed «extra regnum» (Serenissima Repubblica di Venezia e le città dalmate di Ragusa, Cattaro, Antivari e Dulcigno). Le «tratte», in altre parole i prodotti esportati, riguardavano soprattutto olio, frumento, orzo, ceci, fave. Il mezzo di trasporto utilizzato si chiamava «grippo», una barca introdotta dopo i frequenti contatti con i marinai veneti nei loro numerosi fondachi sulla costa adriatica. Alcune famiglie molesi trassero notevoli vantaggi nel commercio dei prodotti esportati e divennero ben presto benestanti; i loro cognomi risultano dai documenti di viaggio: Berlingerio, Colletta, Caczuolo, Colonna, Giannotto, Greco, Lionello, Lucortho, Marinello, ecc.

I redditi prodotti nella nostra città si incrementarono di molto. Quando Giovanna II, la vanitosa regina che dilapidò il tesoro reale ebbe bisogno di un prestito, concesse Mola a garanzia di 8.000 ducati offerti da Giovannella Gesualdo. Dopo pochi anni la città fu riscattata, ma la regina, alla ricerca di altro denaro liquido, cedette nuovamente Mola per 6.500 ducati all’ammiraglio e consigliere della corona Riccardo Aldemorisco. Ancora altra cessione di credito ed i molesi finirono nelle mani di Landolfo IV Maramaldo, uomo spregevole, “usuraio armato”, come lo definì lo storico De Blasiis.

Nel 1436, scomparsa la regina Giovanna II, il nuovo sovrano di Napoli, Alfonso d’Aragona, preferì non saldare il debito e riconobbe Landolfo Maramaldo barone di Mola, titolare di tutte le giurisdizioni e dei corpi feudali. Un incarico che cessò nel 1449 allorché lo stesso Alfonso glielo tolse, so¬spettando della sua fedeltà. Nel 1464 il nuovo re di Napoli Ferdinando I concesse Mola in feudo a Luigi o Niccolò Toraldo (De Santis, a pagina 63, afferma che Ferrante I, con diploma del 21 maggio 1464, dichiarava Mola legalmente ed esclusivamente sua e la donava a Niccolò Toraldo; altri autori parlano di Luigi).

I redditi della città di Mola provenivano in gran parte dai commerci marittimi. I viaggi duravano diversi giorni e nel borgo rimanevano nell’attesa le trepidanti mogli. Un paese che sembrava abitato in prevalenza da donne e, a tal proposito, è interessante esaminare il resoconto di due famosi viaggiatori dell’epoca, Anselmo Adorno e suo figlio Giovanni.

Anselmo era discendente da un genovese che si era stabilito a Bruges ed era membro della corte del duca di Borgogna e dei re di Scozia. Suo padre Pietro, che aveva compiuto due pellegrinaggi a Gerusalemme, aveva fatto costruire nella sua città una cappella che era una replica del Santo Sepolcro e quindi un ospizio per i pellegrini, che divenne rifugio anche della sorella del re di Scozia, scacciata dal fratello Giacomo III.

Nel 1470 Anselmo fu incaricato di eseguire un viaggio in Terrasanta per ragioni politiche e diplomatiche e di fare una relazione sulla condizione delle terre attraversate, sia degli stati musulmani sia dei paesi della costa pugliese.

Partì da Bruges il 19 febbraio 1470 con alcuni compagni e si unì a Pavia suo figlio Giovanni, studente in quella città. Attraversò l’Egitto, la Palestina, la Siria e, di ritorno, i porti del basso Adriatico.

Rientrato a Bruges, Anselmo incaricò suo figlio Giovanni di stilare un resoconto sul viaggio eseguito. Un manoscritto che redatto in latino nei sei mesi successivi su pergamena, fu consegnato al re di Scozia Giacomo III; altra copia per uso proprio rimase a Bruges.

L’interessante documento restò sconosciuto al pubblico per diversi secoli, finché non fu acquistata una copia il 2 gennaio 1894 dal canonico Hautcouer, che ne fece dono alla Biblioteca delle Facoltà Cattoliche di Lille. Il resoconto di viaggio fu poi pubblicato nel 1978 da Jacques Heers e Geogette De Groer con il titolo “Itinéraire d’Anselme Adorno en Terre Sainte (1470-1471). Nel manoscritto, tuttavia, il titolo del resoconto era «Itinerarium Anselmi militis in Asiam et Africam descriptum a filio eijusdem Johanne de Brugis, per annum 1470, et dedicatum regi Scotiae».

Del bellissimo documento, redatto in latino, risulta per noi interessante, in primo luogo, la descrizione della Puglia che esamineremo soltanto nella versione italiana: “La Puglia o Apulia è una provincia quasi del tutto posta sul mare. E’ molto estesa e credo che sia la più fertile al mondo per la produzione di olio e di grano. Produce in abbondanza anche dell’eccellente vino, altri prodotti agricoli ed è ai primi posti per l’allevamento del bestiame e soprattutto dei maiali. E’ una regione pianeggiante, dal clima temperato, caldissima d’estate, ma molto gradevole per la presenza di alberi da frutta e di diverse erbe profumate, che crescono ovunque nei campi spontaneamente senza l’intervento dell’uomo. Il terreno è molto sabbioso, ed è per questo che le strade non sono erose dalla pioggia, ma al contrario sono rese da essa più solide. La Puglia conta un grande numero di città importanti e belle, borghi fortificati e castelli. Lecce è la città più grande della regione, che dista da Brindisi 24 miglia, ma dieci dal mare. Molti ebrei ci abitano, pagandovi una tassa. Taranto è una città molto bella, il cui signore, il principe di Taranto, un tempo fu più potente del re. Nardò è una grande città. Otranto si trova sopra una cavità a picco sul mare. Ma ci sono altre città e noi ne abbiamo attraversato soltanto alcune, come vedremo in seguito”.

Dopo la descrizione di Monopoli (“E’ città con sede vescovile sul litorale, non dispone propriamente di un porto, ma di una spiaggia. E’ molto popolata e gli abitanti, che traggono grande profitto dai loro uliveti, sono ricchi. Intorno alla città per più di trenta miglia sia i campi sia i prati sono pieni di uliveti.

Infatti ci sono boschi di ulivi, che è piacevole attraversare. E’ possibile altrove, come in Siria, in Barbaria, vedere boschi di ulivi, tuttavia questi ci sono sembrati più piacevoli a guardarli e più grandi, poiché si trovavano in una zona pianeggiante. La città è ben fortificata. Ma a poco meno di tre miglia c’è un castello sul mare che orienta in ogni occasione le scelte della città. Dista ventiquattro miglia da Ostuni”), segue quella di Mola (“Prima di raggiungere Mola, siamo passati per un grande paese chiamato Polignano, densamente popolato da gente dabbene, situato sul mare a sei miglia da Monopoli. E’ un piccolo borgo, cinto da forti mura, con una piccola fortezza. Le case sono alquanto scarse. In questo luogo sono molto più numerose le donne, tant’è che ci sono quattro donne per ogni uomo. Mola dista da Monopoli quindici miglia.”).

Nella versione originale il testo della seconda parte è il seguente: “Mola parvum est oppidum, circumcirca fortibus muris cinctum, habens parvum fortalicium. Domus satis exiguae sunt. Eo in loco femellae multo plures sunt viris, ita quod quattuor sunt feminae respectu unius viri. Distat enim Mola a Monopoli miliaribus XV”.

Sembra incredibile come in pochissime parole Giovanni Adorno sia riuscito a fornire una rappresentazione tanto complessa della nostra città, riferita all’anno 1471!

La prima considerazione che se ne trae è che Mola era un piccolo borgo (“parvum oppidum”). Adorno, nella sua relazione, chiamò “civitas”: Brindisi, Ostuni, Monopoli, Bari, Molfetta, Trani, Barletta, Manfredonia, Monte Sant’Angelo, Siponto e Troia; “oppidum”: Carovigno, Mola, Giovinazzo, Foggia. In sostanza, descrivendo la Puglia Adorno affermò che la regione “Multas in se magnas et pulchras civitates ac oppida et castra habet (conta un gran numero di città importanti e belle, borghi fortificati e castelli)”. Faceva una distinzione, quindi, di centri più importanti dal punto civile ed ecclesiastico (civitas) e di agglomerati meno importanti, ma in ogni caso con ragguardevole popolazione, struttura economica ben definita ed organizzazione politica (oppida).

Altra distinzione individuava tra piccoli insediamenti sprovvisti di mura (“villae”) e centri fortificati (“castra”). Così, ad esempio, Polignano era descritta come una “villa”. “Castra” erano definiti molti centri urbani in qualche misura fortificati. Unità distinte e spesso separate rappresentavano i castelli.

Altri autori (ad esempio Vincenzo Massilla in “Commentarii…”, 1551) individuavano le strutture abitative in: “civitas, oppidum, casale, locus, terra, villa.

Ritornando alla descrizione di Mola, notiamo che ulteriore osservazione Adorno riportava per la struttura complessiva della città: “circumcirca fortibus muris cinctum (cinto da forti mura)”. Al viaggiatore appariva, quindi, evidente la cinta delle mura robuste che attorniava tutta la città, così come la volle Carlo d’Angiò. Le case del centro urbano erano tuttavia piccole e insufficienti rispetto agli abitanti (Domus satis exiguae sunt). Sappiamo, infatti, che ad ogni famiglia furono assegnate otto canne quadrate (circa 18 mq.) per l’abitazione e la stalla: si trattava di una piccola stanza e di un minuscolo locale per l’eventuale animale posseduto. All’epoca del viaggio, quasi certamente, non tutti gli abitanti di Mola risiedevano all’interno delle mura: infatti, la città di Mola fu edificata per 150 famiglie e alla fine del 1400 aveva una popolazione più che raddoppiata.

La crescita della popolazione continuò successivamente. Infatti, dai registri sulla tassa per il “focatico” del 1532 risultavano censite 464 famiglie che passarono a 745 nel 1545, a 770 nel 1561, a 1044 nel 1595.

A partire dalla seconda metà del ‘500, nel borgo abitavano soltanto i marinai e le antiche famiglie. I ceti emergenti costruirono, invece, le loro abitazioni al di fuori delle mura e lungo le vie sterrate che portavano verso Polignano, Rutigliano e Bari. Venne a formarsi un largo che era denominata la Piazza, centro di ritrovo per gli abitanti, per lo svolgimento dei mercati, per le assemblee cittadine, per la divulgazione di bandi pubblici. Le mura avevano perduto la caratteristica di difesa e tanti ricavarono piccole aperture per l’ingresso delle loro abitazioni.

Nel periodo della sosta a Mola i viaggiatori notarono la presenza di tante donne e pochi uomini (Eo in loco femellae multo plures sunt viris, ita quod quattuor sunt feminae respectu unius viri-[ In questo luogo sono molto più numerose le donne, tant’è che ci sono quattro donne per ogni uomo]). Il fatto non poteva spiegarsi che con l’assenza da casa dei mariti di quelle donne: uomini imbarcati sui natanti di Mola per i lunghi viaggi verso i porti della Dalmazia e dei domini veneziani. Il borgo, quindi, era abitato prevalentemente da marittimi.

Dalla città, in ogni caso, era separato un piccolo fortilizio o castello: “habens parvum fortalicium”.

(segue la seconda parte: “Il castello di Mola”)

Giovanni Miccolis

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