di Vitangelo Magnifico

Dopo tanti anni, ho rivisto Antonio Padovano. Avevo stentato a riconoscerlo anche se spesso mi chiedevo che fine avesse fatto il giovane fratello dell’indimenticabile Giovanni (il Sindaco di Mola per antonomasia) e Mimì (vescovo) e del quale ricordavo le sue prime esperienze teatrali nel nostro Van Westerhout.

 In particolare, ricordo con ammirazione la messa in scena del “Processo alla malavita barese” del 1976 fatta con il Centro Universitario Teatrale di Bari. Già allora, Padovano aveva dimostrato di saperci fare con i personaggi e soprattutto con i rappresentanti di un certo ceto ovvero con il sotto-proletariato e con la gente incattivita dalla povertà e dagli stenti.

Il frutto del nostro incontro è stato il gradito omaggio di un libro, nel quale Antonio ha racchiuso la nuova edizione di nove novelle dal titolo Racconti allegri e amari (Ed. Print, Battipaglia, Salerno) .

Antonio Padovano, ancora una volta, dimostra di essere affezionato ai personaggi minori utilizzandoli per la rappresentazione di un mondo ormai  passato o, in alcuni casi, presunto tale. Utilizza un linguaggio che potremmo definire un molese italianizzato -o viceversa un italiano molesizzato- alla maniera del Verga anche se decisamente più caricato di quello utilizzato dal grande scrittore siciliano senza raggiungere le esagerazioni di Camilleri.

Lo sfruttamento anche del povero sul povero è il tema dominante in quasi tutte le novelle. Lo è  ne “Il vestito della Prima Comunione” in cui ad una povera vedova viene scippato il denaro messo da parte con tanti sacrifici per acquistare il vestito della prima comunione della figlia così come, nel primo racconto, “Il contratto”, si rappresenta un rito ancora oggi in uso sotto i nostri tendoni di uva da tavola per la compravendita dei meravigliosi grappoli. Ai tentativi del mediatore-compratore di svilire, con qualsiasi pretesto, l’opera di tanti sacrifici fatti dal produttore, questi  risponde cacciandolo e sperando che non vada via ed accondinscenda ad un prezzo più congruo. Dallo scontro, escono quasi sempre vincitori i mediatori che ne sanno una più del diavolo. E i diavoli qualche volta pretendono di essere addirittura santificati come nella simpatica novella “Tra i santi” nella quale Padovano riporta alla nostra memoria la figura dei vastasi, cioè i compratori ambulanti di olive e di altri prodotti che i produttori  depositavano nei sacchi sul marciapiede, appena fuori l’uscio di casa, in attesa della squadra formata in genere da tre individui, dei quali uno portava la stadera, l’altro il palo e colui che fungeva da capo la fune. L’abilità nel pesare con trucchi vari per rubare sul peso e tutte le scuse per giustificarne il calo e lo scontro verbale fra  il proprietario e i vastasi sono da antologia molese!

Dobbiamo a Padovano il richiamo della “Messa pezzente”, di un rito rimasto un modo di dire nella popolazione più anziana e del quale si è persa ogni cognizione. Era la raccolta di soldi, mediante l’elemosina, fatta da chi voleva, con una messa, adempiere ad un voto per una grazia  ricevuta. Nella novella è una agiata signora che, vestita da pezzente, chiede i soldi per la messa ricevendo sprezzanti rifiuti accompagnati da sproloqui ideologici pur di non tirare fuori i soldi.

Di Padovano colpisce soprattutto la descrizione di tipo lombrosiano che fa della gente più umile, di chi non ha il minimo indispensabile neanche per festeggiare la vigilia del natale. Ciò appare evidentissimo in “Inedia” dove i tratti somatici dei personaggi sono segnati dall’ancestrale miseria, dall’ignoranza e dalla sottonutrizione. Ciò portò lo psichiatra socialista Cesare Lombroso a definire criminali i meridionali che avevano il torto di somatizzare, nell’espressione del viso, gli stenti e la necessità di difendersi con la violenza. La vocazione a delinquere dei meridionali diede a Lombroso l’occasione di fondare l’antropologia criminale che tanto influenzò -in senso negativo- l’intervento del nuovo Stato sulle povere popolazioni del Sud dopo l’Unità d’Italia. Ancora oggi, politici di bassa l(L)ega si rifanno a quelle enormi sciocchezze fomentando il razzismo non considerando che le generazioni future di quegli stessi diseredati alimentate e istruite hanno fornito alla Nazione fior di scienziati, di intellettuali, di professionisti, di imprenditori e seri lavoratori  che hanno contribuito all’evoluzione dell’intera Nazione nell’ultimo secolo.

La cattiveria verso gli umili è espressa anche in “La cocuzza invernale” fornendo un episodio da libro Cuore alla molese che riporta al bullismo scolastico dei nostri giorni.

Mi fermo qui e lascio al lettore le tante altre riflessioni, poco allegre ma soprattutto amare, che è possibile formulare leggendo le nove novelle di Antonio Padovano con la speranza di averne tante altre della stessa efficacia e per non dimenticare da dove veniamo.

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