di Andrea G. Laterza

L’impianto fognario di sollevamento a Cozze

Quella che stiamo per raccontarvi è una storia di mala-urbanistica.

Una delle tante che costellano l’intera Italia e, nello specifico, il nostro territorio.

 

Sulla base di una testimonianza diretta e di un nostro sopralluogo, abbiamo appreso qualcosa che ci auguriamo possa essere smentito dai nostri amministratori (attuali e pro-tempore all’epoca dei fatti) e dai funzionari comunali addetti al settore delle opere pubbliche.

Nei primi anni Duemila un’encomiabile iniziativa dell’amministrazione Cristino dà il via ai lavori per la realizzazione del sistema fognario a Cozze. Una frazione, fino a quel momento, servita soltanto da pozzi neri, con tutto quel che ne poteva conseguire: scarichi abusivi in mare, inquinamento della falda e del terreno, odori sgradevoli, ecc..

Purtroppo, a quel che ora si apprende, i lavori non sembrano essere stati eseguiti a regola d’arte: una costante che, nel nostro paese, si ripete da troppo tempo per i numerosi appalti di opere pubbliche di primaria importanza: il fronte-mare ne è un esempio recente e tangibile.

In sostanza, a detta del nostro informatore (che, all’epoca, ha preso parte direttamente ai lavori), nel tratto tra la pescheria posta sul lungomare di Cozze e l’impianto di sollevamento (situato poco prima del bar Las Palmas, sul lato opposto), il posizionamento dei collettori fognari è avvenuto

Il pozzetto a due passi dal mare

per gran parte al di sotto del livello del mare. In particolare, preoccupa uno dei pozzetti di ispezione, molto vicino alla battigia. Quello che più induce a pensare ad una probabile dispersione in mare dei reflui fognari, è dato dalle modalità di esecuzione dei lavori.

In sostanza, i collettori sarebbero stati mantenuti in asse (tenuto conto della pendenza) con cunei di legno (non idonei allo scopo e sicuramente marciti nel frattempo) e, comunque, con poca sabbia a fare da “letto” e da copertura.

Dopo più di dieci anni, a detta del nostro informatore, è molto probabile che l’allineamento dei collettori (che presentano numerosi giunti) sia venuto meno e che le fuoriuscite in mare siano da mettere in conto.

Quella che, secondo quanto abbiamo appreso, appare assolutamente censurabile – sia sotto l’aspetto tecnico che etico -, è la modalità di realizzazione: l’appalto fu affidato ad una ditta con nessuna esperienza nel settore e con responsabili tecnici che avrebbe avallato una posa in opera contraria alle norme tecniche.

Da qui fu asportata la sabbia per i lavori fognari

In particolare, la quantità di sabbia utilizzata come “letto” e come copertura per i collettori fognari, sarebbe stata assolutamente insufficiente ad effettuare le operazioni secondo le buone pratiche.

Il motivo dello scarso utilizzo di materiale sabbioso, da quanto ci è stato spiegato, fu legato alla necessità di risparmiare sui costi.

Cosa ancora più grave: la nostra fonte ci ha mostrato da dove il pur scarso materiale fu prelevato, praticamente a costo zero: le macchine movimento terra della ditta appaltatrice prelevarono la sabbia da un piccolo promontorio che si trova poco prima dell’attuale Bar Las Palmas.

L’area desertificata come appare oggi

Tutta l’ampia zona fu “saccheggiata”, asportando dall’intera area almeno una trentina di centimetri di materiale sabbioso: senza costi per la ditta appaltatrice, ma con grave danno per l’ambiente costiero. Infatti, per compiere queste operazioni furono espiantati almeno una quindicina di alberi di pino che coprivano la superficie. All’epoca l’area appariva rigogliosa di verde, oggi (come testimoniano le foto che pubblichiamo) è brulla e spoglia.

L’altro aspetto inquietante è legato al collaudo: secondo quanto ci è stato riferito, uno dei tecnici coinvolti rimproverò le criticità dei lavori al responsabile di cantiere, che era esterno alla ditta appaltatrice. Tuttavia, il collaudo si chiuse senza apportare modifiche alle opere e, anzi, dopo poco tempo, il responsabile di cantiere venne assunto dalla ditta appaltatrice…

Sullo sfondo il Bar Las Palmas

Ora, a distanza di tanti anni, sarebbe il caso che l’Ufficio Tecnico Comunale chiarisca il perché fu affidato l’appalto ad una ditta priva di esperienza nel settore. E chiarisca perché non furono effettuati adeguati controlli, da parte del nostro Comune, in fase di collaudo atti a scongiurare l’inquinamento marino. Anche gli amministratori dell’epoca dovrebbero spiegare come andarono i fatti: perché si arrivò (così emergerebbe dal racconto che abbiamo raccolto) ad uno scambio di appalto tra due ditte? Perché si permise il prelievo di materiale sabbioso e l’espianto di alberi da una zona protetta? Perché non fu contestata la posa in opera di collettori fognari senza le adeguate protezioni contro gli sversamenti in mare? Ovviamente, a farsi parte diligente nell’indagine interna dovrebbero essere gli attuali amministratori e il Consiglio Comunale nella sua interezza. Avranno il coraggio di affrontare questa scabrosa vicenda?

Intanto, un altro mistero molese si aggiunge ai già tanti mai chiariti, che albergano nell’affollato armadio degli scheletri del nostro Comune. Sarebbe ora che le cortine fumogene, che occultano le nostre faccende urbanistiche e delle opere pubbliche, comincino a diradarsi. E che gli scheletri vengano alla luce.

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