di Nicola Lucarelli

Dopo una lunga malattia, si è spento il concittadino Mons. Domenico Padovano. Aveva 78 anni.

La salma di Mons. Domenico Padovano sarà vegliata presso la Parrocchia del SS.Rosario dalle ore 08.00 alle ore 18.00 di sabato 11 maggio, quando sarà trasferita nella chiesa delle Clarisse sino alla serata del giorno successivo. I funerali solenni si svolgeranno lunedì 13 maggio alle ore 17.00 nella Cattedrale di Conversano.

Nato a Mola nel 1940, è ordinato sacerdote il 29 giugno 1965, viene eletto vescovo titolare di Mazaca e vescovo ausiliare di Bari e Canosa il 30 settembre 1982. Viene ordinato vescovo il 24 ottobre 1982, consacrante l’arcivescovo Andrea Mariano Magrassi, O.S.B., co-consacranti l’arcivescovo Giuseppe Carata e l’arcivescovo Michele Mincuzzi.

Ha conseguito la laurea in pedagogia presso l’Università degli studi di Bari.Il 13 febbraio 1987 viene nominato vescovo di Conversano-Monopoli.

E’ stato membro della Commissione Episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali, della Conferenza Episcopale Pugliese, nonché Consigliere del Consiglio di Amministrazione della Fondazione di Religione Santi Francesco d’Assisi e Caterina da Siena.

Ha organizzato la sua attività pastorale mediante dei piani pluriennali: il primo piano pastorale (1992-2000) ha condotto la diocesi verso il Giubileo del 2000 puntando essenzialmente sulla formazione cristiana. È seguito un periodo di riflessione e di verifica, anche attraverso la visita pastorale del 2002. Il 29 giugno 2002 il vescovo ha inaugurato il Museo diocesano di Monopoli.

Ho avuto la fortuna e la gioia di vivere con lui gli anni fecondi dell’Azione Cattolica della Matrice. Lui assistente ecclesiastico ed io presidente dei giovani. Un periodo indimenticabile della mia vita. E’ stato per me, negli anni seguenti, un grande Amico.

Ha scritto di lui Donatella Vitto:

“Don Mimì, come tutti lo chiamavamo, nel suo primo discorso paragonò la comunità ad un’orchestra, in cui i vari strumenti suonano ciascuno la propria parte, ma insieme realizzano la musica che è scritta; voleva dire che ogni persona è importante per Dio e deve mettere a disposizione i propri carismi per l’edificazione della comunità, dove l’unità della stessa non è il giustapporsi di più persone, ma è data dalla sinergia dei vari doni e delle varie espressioni. Entrò subito nel cuore di tutti don Mimì, per la sua semplicità e perché non amava stare nel chiuso della sua sagrestia, ma era sempre pronto ad uscire fra la sua gente, per conoscerla e capirne le esigenze. Passeggiava con noi per le strade del paese, cogliendo l’occasione per portare a chi incontrava una parola o un consiglio, con particolare attenzione ai più umili e a coloro che vivevano in condizioni poco favorevoli. La benedizione delle case nel periodo dopo Pasqua era il momento di incontro con le famiglie, per parlare con il cuore a tutti e a ciascuno. Il suo forte senso dell’accoglienza fece sì che la sua casa diventasse la nostra casa, dove ci sentivamo a nostro agio e dove la sera preparavamo la cena con lui. Non dimenticheremo mai le belle esperienze dei campi scuola con i ragazzi a Monte Sannace, presso la struttura parrocchiale, dove don Mimì cantava con noi e giocava con quel candore tipico delle persone innamorate di Cristo.

Prediligeva l’educazione dei giovani e dei più piccoli, perché era convinto, a ragione, di poter raggiungere attraverso loro le famiglie. Diede molta importanza per questo alla Messa del fanciullo, che chiamò Messa della famiglia, dove, ancora oggi, vivendo di quell’eredità, celebriamo questa Messa con i ragazzi e i genitori che si ritrovano uniti intorno alla stessa mensa. L’amore per gli ammalati e gli anziani impossibilitati a frequentare la chiesa, lo portò a voler celebrare la S. Messa spesso nelle loro case, che si trasformavano in piccole chiese domestiche, dove più famiglie si incontravano per pregare insieme. Don Mimì riusciva a dialogare con tante persone, anche con i “lontani”, ossia con coloro che per vari motivi non si sentivano parte della comunità o che non condividevano la stessa fede; per questi aveva una particolare attenzione e tutti trovavano in lui un riferimento sicuro e giusto.

Il suo alto livello culturale e il suo equilibrio morale e spirituale gli permettevano di essere una persona speciale, un sacerdote speciale, un padre affettuoso ed amorevole per tutti, che rendeva visibile il volto stesso di Gesù. Sono convinta che nei venticinque anni di episcopato abbia fatto tanto bene.

Gli siamo sempre vicini nella preghiera e nell’affetto, perché ha saputo prendere il nostro cuore e perché lo portiamo nel cuore.”

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