di Vito Giustino

Francesco Foti

Dei vari appuntamenti della “Casa-Teatro sotto le stelle”, la rassegna di spettacolo organizzata dall’associazione Like a Jazz in collaborazione con Giù la Maschera, la maggior parte si teneva in una location segreta aperta solo agli iscritti, mentre due erano aperti al pubblico e si sono svolti presso il chiostro Santa Chiara. Il primo, il concerto “The sound of breath” di Paolo Daniele, ve lo abbiamo raccontato qualche settimana fa. Il secondo, il monologo “Niùiorc Niùiorc” di Francesco Foti, si è tenuto l’altra sera e ve lo raccontiamo adesso.

Francesco Foti, nato a Catania, classe ’65, è uno degli attori più eclettici della scena italiana, uno dei molti talenti “invisibili” di cui non ci accorgiamo ma che fanno la differenza. Al cinema è apparso in film come “Fuori dal mondo” di Giuseppe Piccioni e “Alla luce del sole” di Roberto Faenza, in televisione lo abbiamo visto in fiction di successo quali “Il capo dei capi”, “Il commissario Montalbano”, “Squadra antimafia” e soprattutto “Il cacciatore” (di cui a breve uscirà la terza e ultima stagione), a teatro ha portato in scena testi di Čecov, Pirandello, Shakespeare, Camus, e un monologo comico, “Niùiorc Niùiorc” appunto, scritto di suo pugno.

Solo in scena, unico oggetto scenografico uno sgabello (da lui stesso costruito) che a seconda dei momenti funge da sedia, da pulpito, da valigia o altro, Francesco racconta di un viaggio a New York fatto alla soglia dei quarant’anni per seguire un corso di inglese. Il viaggio c’è stato davvero, ma è inutile chiedere all’attore quali episodi raccontati gli sono realmente accaduti e quali sono frutto di fantasia. Anche se un aneddoto non è reale lo è comunque ciò che significa, le difficoltà nel cimentarsi con una nuova lingua a un’età avanzata, il crogiuolo di razze che si incontra nella megalopoli tale da farti dimenticare dove ti trovi, gli abitanti di Little Italy che ormai parlano una lingua ibrida che non è più l’italiano ma non sarà mai l’inglese, gli incontri amorosi che non vanno mai come ti aspetti, l’impossibilità di far capire alla gente che quello di attore è un mestiere… Alcune di queste esperienze puoi viverle solo lì, altre sono universali.

Foti gioca anche sul linguaggio, ad esempio rivolgendosi talvolta ai tecnici delle luci per avvisarli che quell’aneddoto si è concluso (il passaggio da un capitolo all’altro del monologo è sottolineato da un cambio di luce) gridando “cut” (la parola che spesso i registi cinematografici usano al posto di “stop” per indicare la fine di una ripresa). Come a dire che ogni esperienza lavorativa non solo è ugualmente importante, ma in qualche modo influenza tutte le altre.

Al termine del monologo Foti si intrattiene ulteriormente col pubblico, rispondendo alle sue domande e regalando gadget degli spettacoli precedenti (c’è anche un libro degli ospiti in cui scrivere le impressioni sullo show; gli spettatori del chiostro Santa Chiara ne hanno riempito cinque pagine). Alcune domande del pubblico sono incentrate sulla sua carriera: si sente più un comico, un attore drammatico, un autore di monologhi o altro? Una soave voce femminile proveniente dalla platea prende la parola e risponde per lui: “Sei un attore!”. Non c’è altro da aggiungere. Sipario.

Al termine di uno spettacolo scattano i ringraziamenti d’obbligo, che in questo caso andrebbero fatti dal pubblico a persone come Lisa Angelillo e Paolo Daniele, colonne dell’associazione Like a Jazz, grandi artisti che a loro volta hanno collaborato con maestri di fama internazionale, e che invece di pretendere riconoscimenti che pure meriterebbero si mettono a disposizione della comunità molese, in questo caso con una rassegna da cui non guadagneranno nulla e che ha contribuito a farci trascorrere qualche serata spensierata in un’estate particolarmente difficile. E a farci conoscere attori come Francesco Foti.

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