di Nicola Lucarelli
“Ho, da sempre, un’avversione totale, cronica e ahimé irreversibile, contro qualsiasi cosa che sia anche lontanamente definibile come burocratica. Capisco la necessità per il funzionamento del paese, ma forse la si può snellire ancora e di molto. Questo lato spigoloso del mio carattere, come è facile intuire, mi ha procurato non pochi problemi e scontri con questo o quel funzionario della pubblica Amministrazione (maiuscolo, che ci vuole deferenza). Mai come in questo periodo però…Ricordarsi i bolli, le assicurazioni, l’iva, le tasse, non è sufficiente. C’è la visita medica per aggiornare la patente, le richieste in carta bollata, i registri, gli albi, le iscrizioni, le cancellazioni, i rinnovi, tutte le scadenze, una tragedia quotidiana senza soluzione di continuità. L’anno scorso per aprire la mia attività ho dovuto presentare 37 documenti a non ricordo più quanti enti ed uffici diversi (Regione, Provincia, Comune, Agenzia delle Entrate, INPS, INAIL, Polizia Urbana, Ufficio Tecnico,ecc..). Prima di aprire, tra versamenti, tasse, bolli ho speso oltre 400 euro! Per non parlare di quelle frasi tipiche da sportello pubblico : “no signore, non è questo l’ufficio giusto, è l’altro, rifaccia la coda”, “guardi, noi qui ci occupiamo d’altro, non le sappiamo dare una risposta”, “senta, se ha capito, bene; altrimenti pazienza, qui non abbiamo tempo da perdere”, “sa, la normativa è poco chiara, in teoria lei dovrebbe fare così altrimenti le capita questo, ma aspetti, il mio collega forse le sa dire qualcosa di più, tra l’altro lui ha una sua teoria diversa da quella che le ho detto io…”,” l’ufficio è aperto dalle16 alle 18, mi dispiace, ritorni”. –” ma lei è qui davanti- dico- può rispondere ad una mia domanda!” – “signore, non insista, lo vede l’orario? È scritto là, bello chiaro,
cristallino”. Insomma, un calvario. Strano poi, perché nelle mie cose – quelle che mi interessano, intendo – sono invece di un preciso da far schifo. Forse ora capisco: è per via di tutta la carta che c’era in mezzo tra me e il mio cliente che ho smesso la pratica forense. Perché tutto questo preambolo? Il fatto è che in questi giorni mi sono scontrato di nuovo con la burocrazia ma la cosa non riguardava solo me, riguardava l’organizzazione di un meeting gastronomico e l’importazione di vini dall’estero. Ho sentito tre uffici diversi (utf, dogane, intrastat) ognuno – non scherzo – mi ha dato tre versioni diverse s$ulle cose da fare, chi ne sapeva di più chi di meno; alla fine sono incappato nell’ingegnere di turno che non è stato comunque in grado di spiegarmi con parole
semplici cosa ci fosse da fare e, peggio ancora, non era neppure troppo convinto. Di più! Lo sapete cosa mi ha detto il burocrate come soluzione finale? Mi ha dato gli estremi dei decreti legislativi e, con tono scocciato mi ha suggerito di leggermeli e studiarmeli per bene. E pensare che il numero di telefono che ho chiamato diceva chiaramente: “Ufficio Relazioni con il Pubblico”. Non sai come
si fa? Studiatelo! Questa la soluzione. È per questo che odio la burocrazia. Spesso – non voglio tuttavia con questo fare di ogni erba un fascio, qualche persona in gamba ci sarà pure no? – non c’è la minima voglia ed il minimo desiderio di venire incontro al cittadino, di assisterlo, di aiutarlo, di spiegargli. Anche se questo si sta sbattendo per portare qualcosa di buono al paese, non di cattivo.
Pare che il trasporto di un vino dall’estero per degustazione in Italia sollevi problematiche tali da dover richiedere l’istituzione di un’apposita commissione studi in Parlamento, la riunione delle due Camere in seduta plenaria e la benedizione del Papa. Un caso inaudito il mio, una richiesta “nuova” – e per ciò stesso bizzarra – mai sentita prima. Bah! E io che quando facevo il cameriere mi sentivo
felice se riuscivo a mandare a casa un tavolo con il sorriso sulle labbra…Così, anziché muovermi per le vie che in un paese normale sarebbero anch’esse normali, ho cercato di battere altre strade, chiedendo direttamente a chi opera in questo settore, spedizionieri, importatori, distributori. Grazie alla squisita gentilezza di uno di questi, che ha avuto la pazienza di dedicare cinque minuti del
suo prezioso tempo alla mia causa, ho capito più di quanto non erano riusciti a dirmi in quindici persone nel giro di due giorni di telefonate e di incontri. Ne emerge un dato preoccupante. Un’operazione apparentemente semplice come la spedizione di un vino dall’estero all’Italia (ma vale anche per molti altri paesi della UE), è in realtà molto più complessa oggi di quanto non lo fosse quando c’erano ancora fisicamente le dogane. Almeno lì passavi, pagavi il dazio e
tutto era risolto. Adesso è un turbinio di carta che fa girare la testa”. Questa testimonianza di un giovane imprenditore, peraltro laureato in Legge, mette il dito in una delle piaghe più vergognose
dell’apparato pubblico. Bisognerebbe che ognuno di noi leggesse l’ultimo libro di Stella e Rizzo “La Deriva”, uscito da pochi giorni dopo lo straordinario successo de “La Casta”, per rendersi conto di quanto costa a noi tutti la malaburocrazia. È un ambito, quello della burocrazia, che ingoia voracemente ogni anno un mare di danaro pubblico, senza dare ai cittadini il servizio per cui
la pagano. Tutti noi che viviamo e paghiamo le tasse siamo gli imprenditori del sistema burocratico. Accade, invece, che direttori generali, funzionari, impiegati e persino gli operai, si permettono impunemente di trattare i cittadini (che sono i loro “datori di lavoro”) come sudditi. Un’inversione dei ruoli assurda e stupefacente, assecondata da uno sciatto e accondiscendente potere politico più
attento al clientelismo che all’efficienza della macchina burocratica ed agli interessi della popolazione amministrata. Fortunatamente non tutti sono così. Personalmente, per il mio lontano passato di amministratore pubblico, posso testimoniare che insieme ai fannulloni, agli incapaci ed agli improduttivi, c’è ed opera in silenzio e con coscienza una larga schiera di dipendenti pubblici, che troppo spesso supplisce alle manchevolezze altrui ed altrettanto spesso il loro impegno non viene riconosciuto, perché l’appiattimento salariale, perseguito dai sindacati, ha completamente annullato la meritocrazia. Lavori o non lavori, sei bravo o asino, ti impegni o meno, sei gentile o maleducato, sei disponibile con l’utente o gli sbatti la porta in faccia, ti aggiorni e studi le leggi o non ti frega più di tanto: non ha importanza, il 27 arriva per tutti. Conseguenza: il burocrate serio e preparato si rode il fegato, quello fannullone e menefreghista si gode la vita e magari si lamenta dello stipendio che non riconosce i suoi…meriti. Continuerà la pacchia? Speriamo di no. Renato Brunetta, nuovo ministro della Funzione Pubblica è partito lancia in resta: “Licenziamo i fannulloni. Le leggi ci sono, bisogna farle rispettare”. Auguri!